giovedì 8 marzo 2012

Marò arrestati. E se gli indiani avessero ragione?

Non accennano a placcarsi le schermaglie politico-diplomatico-giudiziarie tra Italia e India, in seguito all’uccisione da parte di due marò del battaglione San Marco, imbarcati sulla petroliera napoletana "Enrica Leixe" (1), che avrebbero, il condizionale è d’obbligo, aperto il fuoco contro una barca di pescatori, uccidendo due pescatori.

L’evento sarebbe avvenuto a più di trenta miglia dalle coste indiane, quindi a rigor di Trattati internazionali in acque  extraterritoriali, in mare aperto.

Stando ai resoconti dei media italiani, il reato commesso sarebbe di pertinenza dell’Italia, e l’arresto ora in essere, sarebbe una palese violazione dei Trattati internazionali e del mandato Onu. I nostri media lamentano che la petroliera, non doveva attraccare nel porto indiano, ma il capitano, a differenza dei militari, risponde all’armatore, mentre i militari rispondono alla loro catena di comando, che aveva sconsigliato l’approdo, ma non aveva nessun diritto legale d’impedire al capitano, non essendo sottoposto a leggi militari, obbligato ad obbedire  agli ordini impartiti dalle autorità indiane.

Ora, stando a quanto riportano i quotidiani, i militari italiani godrebbero dell’immunità, in quanto operavano tecnicamente sotto l’egida Onu. Ma a ben vedere la presenza dei militi a bordo fa parte di un accordo tra Forze Armate e armatori, che per motivi di sicurezza possono richiedere la presenza di militari a bordo. (2), che “conferisce al comandante di ciascun nucleo la responsabilità esclusiva dell’attività di contrasto militare alla pirateria, ed attribuisce in capo a quest’ultimo e al personale da esso dipendente la funzione, rispettivamente, di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria limitatamente ai reati di «pirateria» e «nave sospetta di pirateria”.

 Il punto è questo: sospetta pirateria, con le responsabilità che sono attribuite alla funzione  di ufficiale e di agente di polizia, limitatamente ai reati di pirateria.

Dalle immagini che giungono in Italia, sembrerebbe che il fuco sia partito verso una barca di pescatori, ma sarà la perizia balistica indiana che dovrà stabilire se i colpi sono stati sparati dai due marò. A detta di molti sembrerebbe che sussistano delle discrepanze temporali.  Il punto principale è anche un latro, ossia se l’imbarcazione a cui è stato aperto il fuoco è oltre ogni ragionevole dubbio è una barca di pescatori, senza alcun legame con la pirateria, i militari per eccesso di legittima difesa, seppur con l’attenuante del sospetto, potrebbero essere andati oltre il mandato come forze di sicurezza militari a bordo di una petroliera civile.  Da qui l’ordine, rispettato dal capitano, di dirigersi verso il porto indicato dalle autorità, che hanno provveduto, chiedendo il permesso di salire a bordo di una nave battente bandiera italiana, al fermo di polizia giudiziaria dei militari che avrebbero, ma sarà la magistratura indiana a stabilirlo, se sono stati loro a sparare, andando oltre il mandato ricevuto e agli accordi vigenti tra armatore e Marna Militare italiana a cui i marò fanno riferimento.

Anche se fa pensare a un’anomalia il fatto che le autorità diplomatiche abbiano chiesto un incontro con le famiglie, anche allo scopo di offrire dei risarcimenti in denaro ai famigliari delle vittime. (3) – (4) È strano che ancora prima di un dibattimento si voglia giungere a un accordo extragiudiziario. Di prassi i risarcimenti vengono imposti dai giudici  ai colpevoli, a favore della vittime, dopo aver emesso una sentenza di colpevolezza.

Spesso si fa il parallelismo con la Strage del Cermis  (5), dove la politica italiana afferma che i due marò godrebbero dell’immunità (6).  Ma se secondo quanto sostiene la magistratura indiana non si fosse trattato di pirati, seppur sospetti, agli occhi dei militari italiani,  una volta a terra, potrebbero essere obbligati, come sembra stia succedendo, a rispondere alla magistratura di quel Paese, in quanto stando ad un interpretazione estensiva del diritto indiano, sembrerebbe che un reato commesso in una barca indiana, anche al di fuori dalle acque internazionali, sarebbe di competenza di quel Paese. Per fare un parallelismo, spesso la giustizia americana compie azioni di polizia anche fuori dai confini nazionali.

Non si può nemmeno parlare di parallelismi tra la strage del Cermis e quanto è avvenuto nelle acque extraterritoriali dell’oceano indiano, perché gli italiani hanno fatto mettere sotto sequestro l’aereo che aveva causato la strage, seppur si trovasse all’interno di un istallazione della Nato e i i pubblici ministeri italiani richiesero di processare i quattro marine in Italia, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento ritenne che, in forza della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo statuto dei militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense”.

 Ma fu un giudice italiano a stabilirlo. Lo stesso dovrebbe appurarlo un giudice indiano, dopo aver visionato i carteggi e aver interpretato i Trattati Internazionali, ma dove anche la magistratura, essendo un organo indipendente dagli altri poteri dello Stato, non dovrebbe subire alcun tipo di pressioni politiche interne e/o internazionali di sorta.

L’Italia non può indignarsi per i sentimenti anti italiani presenti in questi giorni in India.  Sono espressioni “normali” e naturali, fomentante anche dalle forze politiche che hanno bisogno d’avere casse di risonanza in termini di elettorato e di aggregazione, contro un ipotetico comune nemico.

 Non si può aver dimenticato a riguardo la Strage del Cermis, che nel nostro Paese, in concomitanza con le varie fasi dell’inchiesta (7)  si sono tenute manifestazioni antiamericane , o come quelle accadute nel 2007 (8), antirumene.

Indignarsi per quanto altri fanno a “casa loro”, quando in “casa propria” le cose si svolgono, con motivazioni più meno diverse, manifestazioni analoghe, odora di antistoica ipocrisia giornalistico-populistica.

Come non va dimenticato che alla fine con la strage del Cerms, il Ministero della Difesa non paga:Conscio delle gravissime responsabilità dei piloti americani, il Congresso degli Stati Uniti si è affrettato ad approvare un indennizzo di 20 milioni di dollari a favore del comune e della provincia di Cavalese, nonché della società che gestiva la funivia, utti gravemente danneggiati, il 3 febbraio 1998, dalla strage del Cermis, provocata da un aereo della marina militare degli USA che uccise 20 persone. Ma, per motivi oscuri, il ministero della Difesa italiano, che quell’indennizzo ha già ricevuto da tempo, si rifiuta di farli giungere a destinazione. E così alla provincia autonoma di Trento non è rimasto altro che citare il ministero in Tribunale. Per la strage del Cermis gli USA hanno già versato, questa volta direttamente, due milioni di dollari ai familiari di ogni vittima. (9)

La politica italiana, attraverso la rappresentanza diplomatica e consolare ha il diritto-dovere di tutelare i due militari italiani, però come accade in ogni indagine giudiziaria, l’Italia deve attendere che la Giustizia, nel rispetto di tutte le leggi internazionali e Trattati, compresi i bilaterali, faccia il suo corso, senza mettere fretta alla giustizia indiana, intervenendo nel limite e nel rispetto delle relative competenze, tramite gli organismi preposti, alla soluzione del caso giudiziario, lasciando che la legge faccia il suo corso, vigilando superpartes affinché si trovi, attraverso la Giustizia, nelle sedi competenti, Giustizia e Verità processuale, non soggettiva per l’una o per l’altra parte, ma oggettiva, in modo che le responsabilità vengano accertate oltre ogni ragionevole dubbio, nel nome delle vittime innocenti di questo tragico evento, al pari della vittime innocenti della strage del Cermis, hanno perso la vita.

Se l’Italia dovesse lamentarsi per la lentezza del sistema giudiziario italiano dovrebbe ricordarsi il caso di Meredith Kercher (10), dove la famiglia attende ancora giustizia, con un cittadino italiano, Raffaele Sollecito, e una cittadina americana, Amanda Knox,  assolti per non aver commesso il fatto,  dopo quasi quattro anni di detenzione (11), L’Italia e gli italiani potrebbero indignarsi solo se il sistema  giudiziario italiano fosse realmente migliore e più rapido di quello indiano…
Ma visti i precedenti.
In ogni caso ai due Marò del Battaglione San Marco va la solidarietà e la presunzione d’innocenza fino a prova contraria, da accertarsi nelle sedi opportune.

Marco Bazzato
08.03.2012




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