lunedì 23 marzo 2020

Covid-19: sospesi in un limbo


Credo che mai come adesso, non solo l’Italia e gli italiani, si sentano e ci sentiamo tutti sospesi in limbo. Dentro una bolla d’aria dentro le nostre case, in attesa che questo scherzo della natura, sempre che sia stato solo un fottuto scherzo del destino, abbia fine.

Già! Siamo chiusi in casa. Lasciamo perdere per il momento chi in questo momento può, od è costretto, per varie motivazioni, ad andare a lavorare. In tutta onestà non si può affermare che costoro siano dei privilegiati, dei baciati dalla Dea Bendata. Primi tra tutti i medici e tutto il personale sanitario che a seconda delle loro mansioni, combattono in prima linea questa guerra per tutti noi.

No. Il motivo di queste mie parole è rivolto a chi sta in casa. Persone sole, coppie di anziani. Famiglie con figli, grandi e piccoli. Famiglie con i genitori lontani o con i figli vicini, costretti a guardarsi attraverso lo schermo di uno smarphone. Famiglie con dei cari affetti da diverse patologie, diversamente abili. Insomma quella varia umanità di cui di solito, se li incrociamo lungo le strade, o fingiamo di non vederli, o se li vediamo, distogliamo il capo dall’altra parte, dicendoci tra di noi: meglio a loro che a noi, che a un nostro caro.

Mi rivolgo a quanti, abituati a uscire, a vivere la routine di tutti i giorni: uscita di casa, lavoro, aperitivo la sera, prima di rincasare, palestra, cena e poi nuovamente fuori con gli amici o con i compagni di ogni giorno, o come va di moda oggi, che si sono trasformati in runner improvvisati o che, non so quali dei due sia il peggiore, sono runner patologici, che è un disturbo riconosciuto dalla psichiatria – basta cercare su Google: “ossessione per il correre psicologia” Quelli che magari oggi, sono quelli che si lamentano più di tutti per la perdita della loro libertà. Che si lamentano per lo stravolgimento della vita e della quotidianità.

Ebbene, oggi, tutti, non solo costoro, sono sospesi in questo limbo d'incertezza.
A quanti si lamentano immotivatamente di questi futili motivi, per la perdita della libertà o di quella che prima credeva essere libertà, perché la vera libertà, che piaccia o no non esiste mai, se non si è liberi dentro, è giusto ricordare che nella vita ci sono delle priorità che vanno oltre il banale piagnisteo perché non si può fare la partita di calcetto, perché non si può fare la settimanale partita a tennis con gli amici. Non on si può andare a prendere l’aperitivo in piazza alle 18.00, appena terminato il lavoro, ola modaiola corsetta, emersa proprio con il manifestarsi del Covid-19. Che sia un effetto collaterale del virus?

La più grande priorità che abbiamo in questo momento è quella di non cedere agli inutili e banali sconforti della quotidianità perduta.

Non è cosa facile per nessuno.

Però in questo momento ci sono delle priorità da salvaguardare: noi stessi e la nostra salute, non solo fisica, ma soprattutto mentale.

Già. Forse in molti ancora non se ne rendono conto o se iniziano a rendersene conto, stanno iniziando a realizzare cosa significa perdere tutti i punti di riferimento. Quando presente e futuro appaiono nebulosi e oscuri, perché le presunte certezze che si credeva di avere si sono frantumate come neve al sole, e lo specchio della vita ora ci riflette solo le nostre immagini spezzettate in migliaia di frammenti, dove non sappiamo più come ricomporre noi stessi.
Questi sono i momenti i cui vediamo chi siamo. Cosa abbiamo dentro e quali sono le nostre riserve nascoste di volontà e soprattutto di speranza. La speranza. Che altro non è che l’ultimo “folle” baluardo utopico, per non cedere allo sconforto, all’ansia, alla depressone, alla tensione, allo stress, agli attacchi di panico e all’intolleranza di chi sta, rinchiuso in spazi angusti, solo, con poche persone o peggio ancora, con molte, rispetto agli spazi a disposizione.

Onestamente? Non credo che esista una ricetta valida per tutti per superare questi stati emotivi e claustrofobici. Questi stati ansiosi e depressivi, che possono colpire chiunque. Questo stress che potrebbe far venire fuori qualche febbriciattola atipica, quella linea di febbre che ti fa spaventare e credere di essersi beccati la “peste del ventunesimo secolo”.

Oppure, io non ho una ricetta e un consiglio da dare a nessuno, in quanto ogni persona è un universo a se; un micro e un macrocosmo emotivo che si muove con leggi rispettando delle leggi universali, iscritte appositamente però per ognuno di noi in ognuno di noi e che ogni singolo deve ed è costretto, oggi più di ieri, ad imparare, velocemente conoscere, riconoscere mettendo in pratica le adeguate strategie di sopravvivenza, per supportarsi le proprie “difese immunitarie psicologiche” e di riflesso anche e quelle fisiche, dato che le une e le altre sono indissolubilmente coniugate.

Ognuno, per sopravvivere in questo limbo deve imparare a conoscere le proprie debolezze e gestire al meglio le proprie risorse.

Io, per assurdo, e on voglio certo elogiarmi, sono una persona “fortunata”, in quanto sono stato baciato dal demone dei ricoveri ospedalieri fin dal primo mese di vita. Non sto a tediavi circa le mie traversie, come fossero un vanto o una vittoria Sono dati e fatti non essenziali per voi. Però forse potrebbe esservi utile la mia esperienza, che in parte, piaccia o non in molti, se non tutti, almeno una volta nella vita, sono stati costretti a sostenere: l’attesa davanti a uno studio medico. L’attesa per il referto – di vita o di morte – di un referto diagnostico, che potrebbe significare vita o morte. Quello di morte l’ho ricevuto più di una volta, ma oggi, per ora sono ancora qui. Ma anche questo non è importante.

Io quando oggi, ma non solo oggi, lo sconforto mi assale, e da normale essere umano, succede, visualizzo nella mente quei momenti. Quegli istanti eterni che non avevano fine. Nella mente vedo e rivedo il film dove ero protagonista e spettatore. Quelle lancette dei secondi che si muovevano nel quadrante dell’orologio affisso alla parrete del quarto Piano del Day Hospital della Pediatria di Padova o nell’altro reparto, che poi ho avuto il “piacere” di visitare, per soggiorni più o meno lunghi e checché ne dicessero gli altri degenti, il “rancio ospedaliero” nonostante la totale assenza di gusti e sapori, per me sono sempre stati banchetti stupendi, se ci stavano le pietanze di mio gradimento, naturalmente.

Ebbene, oggi, ringrazio quei momenti. Ringrazio quelle lunghe attese. Sì, le ringrazio perché mi hanno dato quel bagaglio esperienziale che mi permette di vivere questo limbo come un “già vissuto”, in quanto parte del mio essere. E in tutta onestà, credo che ognuno di voi, donne, uomini, giovani, adulti o anziani, avete sicuramente provato quel “tempo eterno dell’attesa”. Quel tempo e dentro di voi. Certo, potrebbe far male riviverlo, e potreste anche negarlo ma è in voi e dovete solo andare scovarlo e farlo uscire da quell’angolo buio della rimozione dove lo tenete celato, rapportandolo al vostro presente e, almeno così accade a me, e potreste sentire le tensioni psicologiche sciogliersi, o per lo meno allentarsi.

Come dico sempre a me stesso, se si fa una scala anche di tensione emotiva o psicologica da 1 a 10, dove 10 sta per esplosione, e si riesce a farla scendere anche solo di un punto, è un piccolo grande passo per noi stessi.

Oggi siamo rinchiusi entro quei piccoli passi, siamo costretti nelle nostre case, nei nostri appartamenti, nelle nostre abitazioni. abbiamo una possibilità che non era mai stata data prima d’ora: riscoprire e riscoprirci. E la grande sorpresa potrebbe essere che siamo migliori e più forti di quello che credevano di essere.

Dobbiamo solo accettare quella forze, credendo in noi stessi, scoprendo, anche se può far paura, quelle forze nascoste e celate dentro la mente di ognuno. Ce lo dobbiamo in primis e non per Ultimo per chi amiamo. Non farlo significherebbe perdere una magnifica opportunità prendere coscienza ch abbiamo delle riserve emotive molto più grandi di quelle che potevamo immaginare. Ciò che conta è avere il coraggio di andarle a cercare. Sono lì. Ci aspettano!
Marco Bazzato
23.3.2020


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