martedì 29 dicembre 2015
Botti di Capodanno? Sì, grazie!
I cani abbaiano per i botti? Fregatevene!
Manca poco alla
fatidica notte del 31 dicembre, quindi i meritatissimi botti, quando
ufficialmente il 2015muore e verrà consegnato
alla storia, per ora quella contemporanea e fra mille anni quella antica, ma
già da almeno un mese sono partiti gli
appelli delle associazioni bestialiste a
non spararli, per non spaventare i pelosi quadrupedi, cani soprattutto, da
compagnia. La cosa peggiore è che innanzi a questa follia, perché di follia
vera si tratta, ormai non si contano più i comuni che li hanno proibiti in
tutti i loro corrispettivi territori comunali, arrivando pure a minacciare
pesanti sanzioni – ma chi vogliono prendere per i fondelli – se qualcuno verrà
beccato con una micetta in mano un raudo o una bomba Maradona, prima o dopo il
botto.
Il tutto, a loro dire,
per il rispetto degli animali. Da quanto mi risulta non sembra che siano mai
avvenuti decessi per infarti causati da botti ai danni dei quadrupedi di razza
canina, al massimo qualche latrato di paura, qualche tirata di catena o la corsa,
come impazziti, a nascondersi dove capita, ma nulla di così allarmante, da
giustificare tali isterie di massa, come ogni anno vogliono prospettarci i
bestialisti e friends, i quali, a loro dire, ci potrebbe essere forse quasi una
vera e propria moria di animali spaventati…
Non diciamo minchiate
per favore!
Personalmente non ho mai
sparato un botto in vita mia. La cosa
non mi interessa e mi sono sempre tenuto
a debita distanza da quelli che amano questo sport da 31 dicembre o da grandi
festività, perché poi molti di quelli che li sparano sovente sono già, come si
dice, “avanti per via dell’alcol bevuto” e quindi non sono il massimo dell’affidabilità.
Perciò non vale la pena rischiare standoci vicini.
Ma la cosa più pietosa
sono le sanzioni amministrative promesse da qualche amministrazione comunale
contro quei cittadini rei di infrangere questi sedicenti, e a loro dire,
sacrosanti diritti degli animali a non essere stressati dai botti.
Ma ce le vediamo le pattuglie della polizia
municipale, sguinzagliate per villaggi, frazioni, quartieri e città, allo
scadere della mezzanotte e nella mezzora successiva, perché tanto di solito
durano questi ludi pirotecnici, con il blocchetto delle multe o con il
telefonino a riprendere questi riottosi “bombaroli
della micette” per poi, tranquillamente far loro giungere la sanzione
amministrativa comodamente a casa, quando ormai “…è gabbato lo santo”?
A dir la verità attendo
sempre con trepidazione il bollettino di guerra del giorno successivo, quando
si contano i morti e i feriti, le dita tranciate i bulbi oculari spappolati per
idiozia altrui. Ma, capezzoli, ma una volta che si abbia la gioia di leggere
che in questa o in quella città sono crepati per lo spavento x cani in una
notte. Perché è vero che il cane si spaventa ma è assai difficile che costui
tiri le cuoia per la strizza subita.
Quello che non si
capisce è perché queste associazioni bestialiste e i singoli animalisti non
vengano mai denunciati per procurato allarme e per diffondere notizie esagerate
e tendenziose, visto che alla fine se ci sono feriti o morti, si feriscono o
crepano più “cristiani” che cani.
Voi fate ciò che
volete, ma prima di tutto riflettete se è il caso di dare retta a degli
esaltati mentali, a degli “psicoterroristi” del botto di capodanno che cercano,
riuscendoci purtroppo, a mutare la vostra storia personale, le vostre
tradizioni, la vostra cultura, perché i fuochi di artificio sono un fenomeno culturale non solo in scala
locale, ma quasi globale, solo perché i cani abbiano e latrano spaventati per
una decina di minuti?
Farsi manipolare e
mutilare psichicamente da questi squinternati, andando dietro alle loro
bislacche teorie, significa essere persone prive di personalità, soggetti
mentalmente deboli e lucidamente privi di propria capacità critica. Se volete
essere come loro,prego, accomodatevi, ma ricordatevi che non ci fate una bella
figura!
Quindi, in primis per voi e a chi vi sta vicino, buoni
botti di Capodanno e che il nuovo che giunge , sia sempre migliore dell’anno
che se ne va e soprattutto con l’estinzione, come quella dei dinosauri, degli
animalisti, in modo che nasca una specie
veramente intelligente: gli amanti degli animali razionali…gli animalisti non
lo sono!
Buon 2015!
Marco Bazzato
28.12.2015
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animalisti,
Opinioni
giovedì 24 dicembre 2015
Buon Natale a tutti
.
Ormai l’anno volge al
termine e come sempre sarebbe tempo di bilanci, ma non voglio farli, anche se
debbo dirlo con assoluta onestà, tante cose sono andate bene, altre non sono
andate come si avrebbe sperato. Ma la
vita è un continuo dare e avere e quando poi si mette il tutto nel piatto della
bilancia, si vede se questa pende da una parte o dall’altra. Purtroppo nella
mente dell’uomo sovente si crede di essere la bilancia, mentre alla fine solo
un piatto e raramente, peggio ancora, si riesce a comprendere quale si è.
La mia vita, ringraziando
Dio – sì, ogni tanto va nominato, non
solo per imprecarlo nei momenti di sconforto, anche se dovrebbe essere il
contrario, ma siamo esseri umani, deboli, inclini all’errore e alla superbia, quindi,
come tutti, inciampo, rischiando di ruzzolare a terra, oggi, rispetto al
passato – ha moltissime nubi, non solo
temporalesche, ma anche cariche di tempesta e venti impetuosi, sono lasciate alle spalle e l’orizzonte, al
momento terso, in un costante divenire.
Perché per ogni cosa esiste un perché. E quel perché
è la luce della speranza, la luce del cambiamento. La luce che il giorno
successivo sia sempre migliore, nonostante tutto, migliore rispetto al giorno
passato, e così oggi è.
Sono molte le persone
che vorrei ringraziare, ma visto che la lista sarebbe assai lunga mi limito all’essenziale,
non me ne vogliano tutti gli altri.
Prima di tutto mia
moglie, Ves, la quale, come sempre mi è stata vicina in ogni momento, senza
risparmiarsi mai. Anzi, dandomi il massimo di quanto un uomo potrebbe
desiderare: amore incondizionato e senza mezze misure, perché per lei, come per
me, esiste solo il bianco o il nero. Non so gli altri, ma mi reputo un uomo
fortunato. Incontrare Lei è stato essere baciato dal destino, dove anche un
ranocchio come me ha potuto sentirsi e continua a sentirsi ogni giorno un
principe. Ed essere principi in casa propria, con la propria principessa, significa
tutto, nonostante tutto.
Non posso non
menzionare i miei genitori, Bruna e Adriano. I quali, anche se in questa lista
sono al secondo posto, non sono meno importanti nella mia vita, anzi.
Dopo un lungo periodo
di oscurità ci siamo ritrovati. Non importa il come e non importa quali fossero
le motivazioni che hanno portato a quel lungo buio passato. Ciò che conta è che
con loro, oggi, il presente, nonostante la distanza, è migliore di ciò che è
stato per un lunghissimo periodo.
Purtroppo non sono mai stato una persona
affettivamente espansiva nei loro confronti, un po’ per carattere, un po’ perché
tante cose nel mio modo di essere e di pensare sono come grumi di sassi che non
riescono a passare il setaccio e rimangono intrappolati, e non posso incolpare
nessuno e forse nemmeno me stesso.
Però, oggi, forse come
mai ho fatto prima voglio dir loro che li amo in modo incondizionato, così come
sono, proprio per quello che sono, con tutti i loro difetti e sono molti, ve lo
posso assicurare, ma anche con tutti quei pregi, e non sono da meno, che non ho mai voluto vedere compiutamente ed
onestamente, perché spesso il muro della superbia tende , e questo vale per
tutti, ad oscurare i fatti, facendo così
perdere di lucidità innanzi alle persone, avvelenando il cuore, il pensiero e ottenebrando la ragione.
Non sono il tipo e non
lo sono mai stato che si guarda alle spalle avendo dei rimpianti – anche se al
momento so di averne ancora due, ma auspico che prima o poi riesca a fare pace
innanzitutto con me stesso e di riflesso anche con loro – perché sono solo un peso e un fardello che
invece di proiettarti innanzi al futuro, ti tengono legato a un passato che
viene ricordato in modo deformato e
distorto, quindi non rimpiango ciò che ho fatto, perché nei momenti che ho
fatto determinate scelte, quelle erano, in quell’attimo lì, gli orizzonti che
avevo innanzi. Peccato però che l’essere umano è un soggetto che a volte non
riesce, per miopia, ad andare oltre al proprio naso, oltre al proprio misero
giardino e così, invece di dissodarlo, lo riempie di zoppe di terra arida e
secca, diventando, come un giardiniere imbecille, rischiando di coltivare una
terra sterile che non da frutti senza rendersene
conto il primo nemico di se stesso, e di conseguenza del suo prossimo, vicino o
lontano.
Ma il tempo, se si ha
vita da vivere, è se si ha il coraggio di andare anche oltre il proprio
orgoglio sa essere galantuomo e onesto. E quest’anno ho ricevuto il dono più
grande: mia madre e mio padre, che come “Il figliol Prodigo”, come nel dipinto
di Rembrant, “L’abbraccio Benedicente”, mi hanno abbracciato e accolto, anche
se so che in cuor loro non mi avevano mai scacciato, ma mi avevano lasciato
libero di essere ciò che in quei lunghi anni di oscurità dovevo essere, perché era
un Calvario che andava affrontato e percorso fino in fondo.
Sono sempre stato
refrattario alle Feste, a tutte le feste, Natale e Capodanno e compleanni e
questo per anni è sempre stata la croce di mia moglie, che lentamente e con
tenacia è riuscita a scalfire e far breccia dentro il mio “Lato oscuro della
Forza”, perché per me per molti lustri è esistito solo un Natale con la N
maiuscola, quello del 1994. Natale che
ho espresso nel poema “Un Mese di Gioie e dolori”! Anche se alla fine tutta la
vita di ogni singolo essere umano è un viatico di gioie e dolori senza
soluzione di continuità, fino al suo epilogo, dettato dall’entropia di tutte le
cose.
Ma oggi, come quel
Natale del 1994 qualcosa è cambiato. Anzi, tutto pur rimanendo apparentemente
come il giorno precedente non è mai come il giorno prima, anche se crediamo che
sia così, perché purtroppo l’uomo si trascina addosso, come un pesante sacco
ricolmo di carbone, i fardelli e i pesi di ciò che era, senza rendersi conto
che ciò che era già non esiste più, perché l’unico attimo esistente è ciò che
si è. E quindi oggi tutti noi siamo, perché l’eravamo è solo un’illusione che,
come un veleno che lentamente uccide, soffoca l’anima e lo spirito. Perché
tutto cambia e muta nell’Universo, ma l’unico essere che a oggi, difficilmente cambia
e muta, è l’essere umano.
Voglio ringraziare
Stefano, mio fratello e augurare a lui e a sua moglie e ai suoi figli, perché anche
con lui ci siamo ritrovati, a modo nostro, come era nostra consuetudine,
salute, serenità e pace. Dove ci si
sente, tanto o poco, ma rispetto a prima ci si sente, e questo per entrambi non
solo è molto, ma tutto. Il nostro tutto, secondo il nostro essere.
Voglio fare gli auguri
di buon Natale ad Andrea e Paolo gli altri miei due fratelli, alle loro mogli e
ai figli, ai miei nipoti, augurando, come lo è per me in questo momento, possa
essere un Natele di Pace e riconciliazione, se sentono che debbono riconciliarsi
con qualcuno. Io da parte mia so che dovrebbe essere così, ma lascio che questi
si manifestino, anche se agli eventi bisogna andarci incontro. In ogni caso a tutti loro va il mio
fraterno abbraccio.
Ai miei zii, Ester e
Vincenzo che ci sono sempre stati, fin da bambino, con “zio spucion”, perché,
da infermiere, mi faceva le iniziazioni e mia zia Ester, che, lei non lo sa, ma
l’ho sempre chiamata , come vezzeggiativo affettuoso“Superman”, perché nella
sua semplicità sa essere una super donna.
A tutti gli altri parenti
in Italia che non vedo da anni, dove con alcuni ci parlo via chat.
Alla mia famiglia qui
in Bulgaria, che non sto a nominare un per uno, ma che mi sono tutti cari nel
cuore, perché hanno aperto fin da subito
la porta della loro casa senza alcun pregiudizio e remora, accogliendomi come e
meglio di un fratello cona un sorella. Ma una persona voglio menzionare
pubblicamente: diado Anghel, Nonno Angelo, che, anche se ormai indebolito dagli
anni e dai dolori presenti e passati, quando sorride il suo volto e i suoi
occhi si illuminano, che a modo suo mi ricorda molto mio nonno Meno – Domenico!
E faccio i miei
migliori auguri a tutti voi, amici vicini e lontani, italiani e bulgari e non
solo. Amici lettori, non importa se Fedeli di un Dio diverso dal Dio dei cristiani,
o atei. Auguri anche voi, perché indipendentemente dalla divinità venerata o
negata, il 25 dicembre rappresenta, simboleggia e ricorda il Sol
Invictus. Rappresenta la nascita di un qualcosa o di un qualcuno,dove
ognuno secondo la propria cultura, dovrebbe aprirsi al cambiamento, al rinnovamento, ad un essere
testimoni del nuovo che viene alla Luce che scaccia le Tenebre, all’interno di
quel circolo eterno ma limitato dell’esistenza umana.
A tutti voi, alle vostre
famiglie, ai vostri anziani che non andrebbero mai abbandonati e lasciati soli,agli
ammalati costretti in un letto di ospedale o immobili a casa, auguro, nonostante tutto, la stessa identica
felicità e gioia che ho dentro in questo momento, perché per quanto lunga sia la
vita, per quanta oscurità ci possa essere in molti attimi, poi forse, qualcuno
o qualcosa ti pone la mano sul capo e ti dona una carezza, un abbraccio invisibile
anche se nella distanza, ma quella carezza, quell’abbraccio, quella mano sul
capo, tutto cambia e tutto trasforma.
Ed io oggi quella
carezza e quell’abbraccio da parte di mia madre e mio padre l’ho sentita fino
in fondo e per questo, come ringrazio loro per esserci, ringrazio anche i miei
fratelli e le loro famiglie, soprattutto quelli che fino ad oggi non ho
sentito, perché so che nonostante tutto ci sono.
Grazie e vi abbraccio
tutti e auspico per ognuno di voi, salute, pace e serenità,
Marco
24.12.2015
mercoledì 18 novembre 2015
Eugenetica, omofobia e stupro mediatico: ovvero, era meglio morire da feti
Cosa fareste voi aspiranti genitori se un medico,
esami alla mano, vi dicesse che il figlio che state aspettando ha una buona
probabilità di essere omosessuale?
Il romanzo di Marco
Bazzato, "Aborto d'amore", parte da questa premessa che ad alcuni
potrà apparire inquietante ma pone una questione ancora più vasta, già a lungo
dibattuta, che continua a fomentare aspre diatribe tra sostenitori e
oppositori: la liceità dell'aborto. È giusto che un figlio
nasca contro
la volontà dei genitori? È giusto per i genitori? Per il bambino? Per la
società?
La storia che Bazzato narra, con un linguaggio crudo e violento che ben si
adatta alla vicenda ambientata in Veneto ai giorni nostri, è una di quelle storie
che non possono lasciare indifferenti, che non possono non far riflettere. Non
è certo un romanzo rilassante, anzi direi che è come un pugno nello stomaco, e
non è neanche un libro per tutti ma solo per coloro che non temono di
confrontarsi con tematiche difficili quanto attuali. Sconsigliata dunque la
lettura alle persone che si turbano facilmente e non sanno gestire
l'inquietudine, l'indignazione che inevitabilmente farà sorgere questa lettura,
sia che ci si schieri con coniugi Rampin - a cui è stata profetizzata la
nascita di un figlio gay - sia che ci si schieri con i sostenitori dei diritti
degli omosessuali o in generale con gli antiabortisti.
Che esista veramente il gene responsabile dell'omosessualità è tema dibattuto
in ambito scientifico e mai provato, ma il fulcro del suo romanzo è altro: ci
si interroga se i genitori hanno diritto a scegliere della vita e della morte
di un feto che sta crescendo ignaro nel ventre di Arianna Rampin, tipica madre
veneta con un bambino e due aborti naturali alle spalle. Un' altra interruzione
di gravidanza comporta dei pericoli medici, così la decisione è ancora più
sofferta. La privatissima questione familiare balza ad un certo punto alla
ribalta della cronaca e finisce sotto i riflettori dei giornalisti che, come
avvoltoi, calano per sbattere la questione in prima serata e fare audience. Tra
questioni religiose, etiche e giudiziarie si dipana la vicenda fino al suo
epilogo che ovviamente non spoilerò.
Il romanzo è ben scritto ed avvincente, costruito con perizia da un grande
narratore qual è Marco Bazzato (già autore di "Progetto Emmaus",
altra opera dai contenuti forti), ed è capace di tenere il lettore incollato
fino all'ultima riga. A me ha suscitato molte riflessioni personali che vorrei
qui esporre, prendendo come spunto proprio questa vicenda inventata ma che
potrebbe benissimo essere reale e precisando che si tratta di un mio personale
punto di vista.
Premetto che io sono un sostenitore della libertà, in campo sessuale come in
altri campi: tra adulti consenzienti per me tutto e permesso, in accordo col
diritto (una conquista peraltro recente; fino a non molti decenni fa avere
rapporti omosessuali in Inghilterra era reato penale, e lo è ancora in molti
luoghi del Terzo Mondo, un reato punito addirittura con la morte). Per me omo
ed etero hanno e devono avere gli stessi diritti. Tuttavia sono anche a favore
dell'aborto, che ritengo un diritto inalienabile della donna, e penso che per
un figlio o una figlia omosessuale non sarebbe un bell'affare nascere in una
famiglia omofoba, come non sarebbe, più in generale, una cosa positiva per un
figlio o figlia etero nascere in una famiglia che non lo/la desidera. Il
discorso si potrebbe allargare a quei bambini portatori di handicap che, se
potessero scegliere, forse sarebbero i primi a chiedere alla madre di abortire.
Mi rendo conto di dire delle cose forti ed anche in certa misura arbitrarie: in
fondo non si può per ovvi motivi chiedere il parere del diretto interessato,
ossia il feto. Ma il feto si può considerare una persona a tutti gli effetti?
Quando comincia effettivamente la vita? All'atto del concepimento? Al momento
della produzione dell'ovulo o dello spermatozoo che lo penetrerà? O forse è
ancora più antica ed affonda in vite precedenti, come insegna la dottrina della
reincarnazione?
Forse la vita fluisce eternamente dall'infinito
passato all'infinito futuro, come insegna il buddismo, e non ha un vero inizio
e una vera fine… ma il discorso ci porterebbe lontano ed è bene non divagare
troppo.
Il diritto, dicevo, di decidere della vita di un feto è un diritto della donna
che lo porta in grembo. Ma può essere anche un diritto della società dove
quella donna vive? Mi spiego meglio. Immaginiamo che così come fosse possibile
isolare il gene dell'omosessualità fosse possibile individuare anche quello
della criminalità. Se si sapesse che il tale feto ha buone probabilità di
essere un futuro serial killer, o uno stupratore o un violento, ecc… sarebbe
giusto interrompere la gravidanza? Io ritengo che non sia solo giusto, ma anche
doveroso. Auspico un futuro in cui il potenziale criminale venga fermato
addirittura prima di nascere: penso che ci arriveremo, magari tra uno o due
secoli o più, ma ritengo che sarebbe un fatto inevitabile se la premessa che la
propensione alla delinquenza sia genetica si dimostrasse fondata (tra l'altro è
una tematica che sto affrontando in un mio romanzo breve di fantascienza che
sto scrivendo in questo periodo).
E il gene dell'ateismo o del fanatismo religioso? In una società di fanatici
religiosi o di atei un elemento così diverso sarebbe sicuramente sgradito
(forse più tollerato dagli atei, ma fino ad un certo punto) e non avrebbe vita
facile. O il gene dell'omofobia? Una coppia di donne porterebbe a termine la
gravidanza se il loro figlio fosse un potenziale omofobo, oppure lo
accetterebbero comunque come un dono anche se crescendo odiasse le due madri?
Come si vede lo spunto di riflessione che mi ha dato Marco Bazzato mi porta
lontano. Ma Bazzato non parla solo di eugenetica e di omofobia; dipinge un
ritratto desolante anche del mondo del giornalismo televisivo, dell'assenza di
scrupoli, dell'invadenza dei media nella vita di privati cittadini che può
configurarsi come un vero e proprio "stupro mediatico". Anche su
questo dovremo riflettere; in particolare mi torna alla mente il mio lavoro di
ricerca mentre preparavo la mia tesi di laurea su "Comunicazione e
fantascienza". D'altronde ciò che era solo fantascienza quando scrivevo la
tesi, una quindicina di anni fa, oggi già non lo è più: quello dei media e
delle notizie è un mondo in rapidissima e continua trasformazione.
Tornando però al tema dell'aborto, vorrei concludere questa breve e, mi rendo
conto, incompleta panoramica su un argomento difficilissimo, citando il
pessimista Giacomo Leopardi che si dichiarava d'accordo con i saggi greci sul
fatto che è comunque meglio non essere mai nati, e preferibile morire presto (e
qui concedetemi un gesto scaramantico, visto che io non la vedo nello stesso
modo sul morire presto dal momento che abbiamo avuto la fortuna o disgrazia di
venire al mondo…).
Firenze, 16 novembre 2015
Da Segreti di Pulcinella,
rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai
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Intervista a Vessela Lulova Tzalova
a
cura di Massimo Acciai
Vessela Lulova Tzalova, scrittrice, traduttrice,
moglie di Marco
Bazzato, vive col marito scrittore, con cui collabora a livello artistico e
lavorativo, in Bulgaria. Ho avuto il piacere di scrivere la prefazione ad un
suo libro ed incontrarla insieme a Marco durante un mio recente viaggio a
Plovdiv. L'intervista è avvenuta però tramite mail dall'Italia alla Bulgaria.
Cara Vessela, sei una scrittrice e poetessa
con all'attivo alcune pubblicazioni, e sei anche giornalista e direttrice di
un'agenzia letteraria: in questa sede però ci occuperemo della tua attività di
traduttrice. La traduzione è un tema che mi ha sempre affascinato: ho tradotto
anch'io un libro dall'esperanto all'italiano (edito da Edistudio) ed ho
sperimentato di persona che si tratta di un lavoro tutt'altro che semplice.
Cominciamo dall'inizio, dai tuoi studi di italiano. Come e quando ti sei
approcciata a questa lingua così distante dalla tua lingua madre, il bulgaro?
Studiandolo, in quanto per me lo studio è sempre stato un amore. Perché prima
degli studi legati alla lingua italiana mi sono laureata all'Università di San
Clemente a Sofia in pedagogia e successivamente in giornalismo, e per entrambi
le lauree ho conseguito i relativi master. Quindi, l'unico modo per apprendere
una lingua è studiarla in modo approfondito - dizionari, testi universitari,
opere lette in lingua originale, ore e ore passate a imparare verbi,
trascrivere frasi, crearne di nuove e tutto il corollario che ne consegue in
quanto ho sempre amato la lingua e la cultura italiana, fin da quando, da
giornalista, mi occupavo di cultura e letteratura, perciò il mio legame con
l'Italia e la lingua di Dante è sempre stato un po' particolare. Alla fine,
come nuovo punto di partenza c'è stata la Certificazione Plida livello C2, del
Comitato Dante Alighieri, dell'Università La Sapienza di Roma e Ministero degli
Affari Esteri d'Italia.
Quando
e come è iniziato il tuo lavoro di traduttrice?
È iniziato quasi quindici anni fa, traducendo all'inizio una poesia piccola.
Poi sono giunti gli articoli di pubblicistica e in seguito un libro di poesie,
seguito da una raccolta di poemi e successivamente un romanzo. Da lì in poi
sono giunte proposte, all'inizio da editori minori, fino ai grandi nomi
dell'editoria bulgara, e modestamente posso dire che al mio attivo ho più di
trentacinque volumi, tra poesia, prosa d'arte, pubblicistica e saggistica.
Hai
tradotto dal bulgaro all'italiano e viceversa dall'italiano al bulgaro: facendo
un confronto tra queste due traduzioni, quali difficoltà o vantaggi comportano
l'una rispetto all'altra?
Chiaramente da bulgara mi è più facile tradurre dall'italiano alla mia madre
lingua. È sempre difficile fare dei raffronti, è un lavoro assai complesso, ma
per sintetizzare, è vero che in alcuni punti le lingue, con tutte le differenze
del caso, si toccano, ma è anche vero che, il bulgaro essendo una lingua non
romanza, in molti altri è in diretta antitesi con la lingua italiana. La vera
traduzione di prosa d'arte sta nel saper fare, come dicono i francesi, il trait
d'union dalla lingua di partenza a quella di arrivo.
Hai
tradotto molti classici moderni italiani in bulgaro: hai conosciuto di persona
i rispettivi autori? Che tipo di rapporto hai avuto con loro?
Sì, alcuni ho avuto l'onore di conoscerli di persona, anche se a volte è più
interessante toccare l'arte che non l'artista. Altri invece sono stati dei
grandi signori, nobili di cuore, e persino alcuni mi hanno inviato una loro
opera con dedica e autografo.
Chiaramente uno tra tutti, tra i classici moderni che non posso non menzionare
è il Maestro Andrea Camilleri, che da poco ha festeggiato i novant'anni. Ho
avuto l'onore, grazie a Gheorghi Alexandrov della casa editrice Knigopis, di
tradurre otto romanzi del Commissario Montalbano, ove, tramite la segretaria
del Maestro, Valentina Alfierj, ho ricevuto tutto il sostegno che una
traduttrice può ricevere.
Con altri scrittori ci sono stati scambi di mail, per avere la certezza in
alcuni punti controversi, non esistendo libri perfetti o esenti da errori o che
possono dare adito a male interpretazioni, i quali hanno fatto si che tutto
scorresse fluidamente.
Parliamo degli autori bulgari: purtroppo non è
stato tradotto molto in Italia della letteratura bulgara…
Vero, rispetto ad autori di altri Paesi, il confronto è impari. La letteratura
bulgara è confinata entro una nicchia di mercato, soprattutto se non si hanno
gli agganci giusti. In ogni caso, se guardiamo le uscite principali di questi
ultimi anni non possiamo non menzionare Zdravka Evtimova, con Sinfonia, uscito
quest'anno; Guergana Radeva con Rosa Canina. Essenze e spine dell'eros; Alek
Popov, con I cani volano basso e Gheorghi Gospodinov, attualmente lo scrittore
bulgaro più in voga sia in patria che all'estero, con La fisica della
malinconia. Ma voglio certamente aggiungere che alcuni dei nostri classici sono
stati tradotti in italiano, come il Patriarca della letteratura bulgara, Ivan
Vazov, gli straordinari poeti Dimcio Debelianov, Pencho Slaveikov, Damian
Damianov, Hristo Smirnenski, Atanas Dalcev, e gli scrittori: Jordan Radichkov,
Emilian Stanev, Aleko Konstantinov, Victor Baruch, Assen Marcevski e altri.
Come possiamo notare gli autori bulgari pubblicati sono da considerarsi
inferiori persino alle percentuali omeopatiche. Questo non per la mancanza di
ottimi scrittori in Bulgaria, ma perché il mondo dell'editoria, a parte casi
rarissimi, guarda con occhio pregiudizievole al mio Paese.
Mediamente quanto tempo ti occupa tradurre un
libro?
Dipende dall'autore e dal genere e soprattutto dal numero di pagine. In ogni
caso, come liberi professionisti, siamo vincolati a contratti con dei tempi da
rispettare. Mediamente un editore concede novanta giorni, quando si è
fortunati. Questo significa lavorare con "ritmi militari", in quanto,
sovente per rispettare i tempi, non esistono né sabati e né domeniche.
C'è un libro, tra quelli che hai tradotto, a cui sei particolarmente legata?
I Montalbano di Andrea Camilleri, perché è uno scrittore che amavo già prima di
tradurre i suoi romanzi e la Casta di Rizzo e Stella, in quanto essendo anche
giornalista, mi ha permesso di conoscere in profondità le contraddizioni di una
parte dell'Italia, assai differente rispetto a quella comunemente conosciuta
all'estero.
Che consigli ti sentiresti di dare ad un
aspirante traduttore agli esordi?
Sapere che nella lingua di partenza, così come in quella di arrivo, non si è
mai finito di imparare. Amare la letteratura, leggere senza pregiudizi di
sorta. Poi, quando si traduce, ricercare, ricercare e ancora ricercare,
partendo dal presupposto che è meglio avere il dubbio di non sapere e quindi
approfondire, piuttosto che avere la supponenza di credere di sapere, peccando
di superbia. Il lavoro di traduzione è soprattutto un lavoro di umiltà e
pazienza.
A cosa stai lavorando attualmente?
Poco tempo fa è uscito "La figlia del Papa" di Dario Fo. E da poco ho
consegnato ad un editore la traduzione di un romanzo noir, ora sto traducendo
un romanzo, ambientato nella Venezia del 1300.
Da Segreti di Pulcinella,
rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai
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Massimo Acciai,
Segreti di Pulcinella
Intervista a Marco Bazzato
di
Masssimo Acciai
Ho in passato intervistato Marco Bazzato in qualità
di consulente letterario(nel 2006), ma Marco è principalmente
uno scrittore e un poeta. Stavolta l'intervista verterà sulla sua attività
narrativa, ed in particolare sul suo ultimo romanzo "Aborto d'amore",
tradotto in bulgaro e presentato recentemente a Montana, in Bulgaria.
Quali
sono stati i tuoi modelli letterari, gli autori che hai amato di più, che hanno
contribuito a formare il tuo stile?
Amo un numero ristretto di autori classici. Non posso a tal proposito non
citare Bram Stoker, Mary Shelly, H.P Lovercraft, Arthur Conan Doyle, Stendhal,
Goethe, Victor Hugo. E tra i poeti sicuramente Baudelaire e Dimcio Debelianov.
Mentre per i contemporanei, anche se molti storceranno il naso, metto Stephen
King, Tom Clancy, Wes Craven, George Marget, Ken Follet, Massimo Carlotto,
Paolo Roversi e Fabrizio Berlincioni. Come storici Renzo de Felice, Mario Cervi
e Indro Montanelli e tra i filosofi Noham Chomsky e Toni Negri.
Come modello in assoluto Stephen King. Autore considerato di cassa e di massa,
ma analizzando con attenzione la sua scrittura, la sua tecnica, i contenuti e
le tematiche possono piacere oppure no, credo che abbia una limpida crudezza,
in moltissime sue opere, soprattutto le prime, partendo da Carrie lo sguardo di
Satana, La lunga marcia, passando per la Zona morta, L'ombra dello scorpione,
It, Dolores Claiborne e 22.11.63, una pulizia e una scorrevolezza difficile da
eguagliare. Per quanto riguarda i classici, adoro la letteratura inglese
dell'epoca vittoriana e la letteratura gotica in generale.
Quanto
conta per te l'ispirazione, quanto la tecnica? Sottoponi spesso i tuoi lavori
ad un lungo labor limae oppure ha maggior peso la spontaneità del momento
creativo?
Senza ispirazione la tecnica è inutile, ma senza tecnica l'ispirazione rimane
solo un'idea in testa. Perciò come due separati in casa, volenti o nolenti
entrambi sono costretti ad accettarsi, non tollerarsi, reciprocamente. Di
solito sono istintivo, forse anche troppo. Diciamo che per me il più delle
volte è buona la prima. Non amo riscrivere la stessa pagina decine di volte,
rischierei di snaturare la creatività di quanto è stato concepito la prima
volta. Certo però che al termine di un'opera apporto delle correzioni, magari
riscrivendo un periodo, cambiando un aggettivo con il sinonimo migliore. Ma
tutto deve essere istintivo. Altrimenti io stesso sentirei il mio lavoro come
plastico e ampolloso.
Cosa
pensi dei concorsi letterari?
Dipende da che concorsi. Esistono concorsi buoni e altri meno buoni. Quello che
posso dire e che alcuni concorsi di caratura nazionale il più delle volte, a
mio avviso, i vincitori sono tali per apparentamenti politici, che nulla hanno
a che fare con la vera letteratura. È un business. Questa è la verità. Vende il
nome, anche se la qualità è mediocre. Credo che, anche tra gli scrittori
contemporanei, ci siano un sacco di capolavori che vivono la loro esistenza
letteraria underground, dove o gli autori vengono rivalutati da morti, ma
questo è un classico, oppure, peggio distrutti e dimenticati nell'indifferenza.
E trovo ipocrita e quasi blasfema la rivalutazione postuma di uno scrittore,
come se da morto a costui potesse importare il divenir immortale. Che senso ha
applaudire le opere di un cadavere se costui è stato bistrattato e deriso da
vivo?
Quale peso ha il retroterra culturale nella creazione letteraria?
Sono figlio della mia terra, il Veneto. Terra ricca di bellezza e
contraddizioni culturali e storiche non indifferenti e naturalmente l'essere
figlio di questa regione, in alcune opere mi ha influenzato nello stile e nella
formazione psicologica di alcuni personaggi. Ma in altri no, perché è stato uno
stimolo per uscire dal "provincialismo", accostandomi, grazie anche
al fatto di risiedere all'estero, a una visione più cosmopolita ed eterogenea
all'interno delle mie opere, ma non solo.
Le
parole chiave dell'èra attuale, battezzata "èra digitale" sono:
multimedialità, mass media, integrazione, virtualità. Cosa hanno cambiato le
nuove tecnologie digitali nella creazione artistica, se hanno cambiato
qualcosa?
Mi sento figlio di questa rivoluzione digitale, anche se oggi, le tecnologie
informatiche corrono a velocità impossibili. Oggi mi rendo conto che da figlio
sono diventato "nonno." Ho iniziato a scrivere in
"analogico" alla fine del millennio scorso, grazie ad una macchina da
scrivere "Lettera 22" come quella utilizzata da Indro Montanelli, per
poi passare al computer. Onestamente non sarei in grado di scrivere un romanzo
a mano, utilizzando la penna, come fanno tutt'ora molti scrittori. Il mio
processo creativo ne uscirebbe rallentato e non lineare, senza dimenticare che
ho una calligrafia illeggibile persino a me stesso. Sicuramente l'era digitale,
per quanto mi riguarda, mi ha dato una marcia in più. Mi ha dato la possibilità
di muovermi in tutto il mondo, standomene a casa e questo mi ha permesso di
saper costruire il mio mondo letterario con la fantasia in modo dettagliato,
più velocemente, ma non per questo in modo meno incisivo, rispetto a quanto
avveniva solo una trentina di anni fa.
Manterrà il proprio ruolo il testo cartaceo di fronte al dilagare di internet e
degli ipertesti?
No, credo che nel volgere di una ventina d'anni il testo cartaceo sarà
consegnato alla storia. In America le vendite del digitale hanno superato
quelle dei libri materiali, quindi a noi "dinosauri" non resterà
altro che adattarci o estinguerci.
Quando
e come hai iniziato a scrivere?
Ho iniziato tardi si può dire. Ho preso in mano proprio per rispondere
correttamente il mio primo raccoglitore. Era il 29 settembre 1993. Avevo
compiuto da quattro giorni ventiquattro anni. La prima fu una poesia, infantile
direi oggi, senza titolo.
Ho sempre reputato e lo reputo tutt'ora la poesia come il test d'ingresso nel
mondo della letteratura, per poi passare ai poemi e infine ai romanzi. Insomma
un viaggio iniziato quando ancora ci stava la Lira, e quando per usare internet
pagavo in un Internet Point a Padova, a poche centinaia di metri dalla Basilica
del Santo, diecimila lire all'ora e già tutto sembrava fantascienza.
Ho
avuto il piacere di leggere in anteprima due tuoi romanzi: il thriller
"Progetto Emmaus" e "Aborto d'amore", il tuo ultimo lavoro.
Prendiamo il primo: com'è nata l'idea? Che dire del lavoro di ricerca che sta
dietro il romanzo? Quanto tempo ha richiesto la stesura?
La genesi di Progetto Emmaus nasce grazie ad un amico bulgaro. Il figlio del
grande poeta Ivan Dinkov, Stoyan, il quale mi ha raccontato della
corrispondenza epistolare tra lui e Karol Woytila. Corrispondenza che al
momento, per volere degli eredi, non è ancora stata resa pubblica. Prima di
iniziare a scrivere il romanzo ci sono state intere notti passate tra sigarette
e birra profuse in grande quantità, a parlare con Stoyan Dinkov, anche lui
poeta e scrittore, dell'attività di poeta del padre e della Massoneria.
Contemporaneamente libri e libri della mia biblioteca personale. Libri di
massoneria, Bibbia, Vangeli Apocrifi, libri di archeologia, testi esoterici,
Cabala e via discorrendo, sparsi per lo studio, per documentarmi su tutti i
passaggi e le ambientazioni dell'opera, i linguaggi, le gestualità e i passi
logici necessari allo svolgimento del romanzo. Quando alla fine ho messo tutte
le informazioni dentro la testa, mi sono sentito pronto per iniziare a
scriverlo. Insomma tra ricerche, bevute, sigarette e scrittura, se ne sono
andati via in totale circa sei mesi.
L'altro
tuo romanzo, "Aborto d'amore", è anch'esso un'opera che suscita molte
riflessioni. Ti rivolgo le stesse domande che ti ho fatto per "Progetto
Emmaus" ed in più ti chiedo chi ha fatto la traduzione in bulgaro e
l'accoglienza che questo romanzo ha ricevuto in Bulgaria, tua terra d'adozione.
Sono due opere in totale antitesi, con tematiche completamente differenti. Il
primo è un thriller fanta-teologico, il secondo un romanzo sociologico. E, come
è accaduto in Italia, per motivazioni contrapposte, ideologiche in Italia,
culturali in Bulgaria, "Aborto d'amore" è stato accolto con un misto
di entusiasmo e timore, a causa del connubio legato al "romanzato"
gene dell'omosessualità e aborto.
Così come è stato per Progetto Emmaus, ma ancora di più per Aborto d'amore,
credo che lo scrittore abbia il diritto e il dovere di proporre temi scomodi,
spinosi. Temi che si preferirebbe ignorare, ma che potrebbero divenire un
domani, ciò che oggi è fantasia, una realtà di tutti i giorni. Solo che il
lettore sovente ha paura di mettersi innanzi alle proprie paure, preferendo
cullarsi nelle sue ideologiche e teoriche certezze.
La genesi di "Aborto d'amore" è stata una genesi strana. Il romanzo è
nato a seguito di mesi e mesi di osservazioni e letture in rete a riguardo il
tema dell'omosessualità. Ho provocato discussioni, ho cercato di vedere le
reazioni più disparate innanzi alla tematica, passando anche per un omofobo
incallito. Ma tutto questo era necessario per inserire ogni tassello del puzzle
che avevo in testa nel modo adeguato. Da lì l'ambientare la storia in Italia,
nella mia regione, in paese a cavallo tra la provincia padovana e quella
veneziana, è venuto da se. Anche per questo romanzo la stesura, poi, quando
tutto era ben delineato in testa, non ha occorso più di tre mesi. Salvo una
breve pausa di qualche settimana, per lasciare che il finale prendesse corpo,
dando alla storia la svolta che meritava e la sua naturale conclusone.
La traduzione di Aborto d'amore, a differenza delle altre mie opere, tutte
tradotte da Vessela
Lulova Tzalova, è stata affidata a Teodora Ivanova, una giovane laureata in
filologia italiana presso Università di San Clemente di Ocrida di Sofia.
Hai
mai pensato ad una trasposizione cinematografica dei tuoi romanzi? In caso
affermativo, quali attori e attrici vedresti bene nei vari ruoli principali?
Sì, sarei un mendace se dicessi che non ho mai fantasticato sul fatto di veder
trasformato un mio romanzo in un film, ma non al punto da immaginarmi questo o
quell'attore o attrice in questo o quel ruolo. So per certo che è già difficile
essere scrittore e quindi la visione che può avere uno scrittore della sua
opera, sarà differente da quella che potrebbe avere un regista o uno
sceneggiatore. Per questo è giusto, secondo me, tenere i ruoli separati e
lasciare ad ognuno il proprio mestiere.
Una
domanda anche sulla tua attività poetica. Ricordiamo ai lettori la tua silloge
"Il campo del vasaio. Mt. 27,7" (Slaviani editore, 2004) e il fatto
che hai scritto moltissime poesie inedite. Ti chiedo la genesi di questo primo
libro poetico e cosa rappresenta per te la poesia, qual è secondo te il ruolo
del poeta nella società contemporanea?
Il Campo del Vasaio ha raccolto alcuni dei miei poemi, non tutti. Molte delle
opere presenti sono state scritte proprio per questo libro, ma non tutte. È una
raccolta a cui sono particolarmente legato non solo perché in Bulgaria è stata
accolta in modo fantastico, ma soprattutto perché mi ha permesso di fare un
salto evolutivo ed esistenziale. Per fare un paragone improprio, come essere
passato da primate ad homo erectus.
Le opere inedite, poesie e poemi è vero, sono moltissime. Forse rimarranno tali
per ancora molti anni. Al momento non so il perché. Forse perché credo che
debbano maturare ancora, o forse perché penso che siano troppo acerbe e che non
matureranno mai.
In ogni caso il ruolo del poeta nella società ha perso di valore, siamo
inflazionati come la vecchia lira, probabilmente perché non sappiamo essere più
corrosivi come in passato. Rimango dell'idea che un poeta debba innanzitutto
essere un soggetto di rottura, la poesia deve essere una spina nel fianco,
pronta a pungere come un bisturi affilatissimo l'animo umano e la società, ma
purtroppo spesso leggo poesie di poeti sdentati, privi di mordente,
incapacitati ad "aggredire" la parola e piegarla al proprio volere.
In occasione della mia presentazione in Bulgaria della mia prima raccolta,
"Libero arbitrio" dissi che "Il poeta era morto". Oggi come
allora ne sono sempre più convinto, a meno che non si ritrovi quel coraggio di
denuncia che la poesia e i poeti hanno sempre avuto nel corso della storia.
Progetti
per il futuro?
Al momento sono impegnato nella revisione di due romanzi. Il primo è un
thriller liberamente ispirato a una storia vera accaduta in Italia dieci anni
fa, il secondo è il proseguo di Aborto d'amore, in quanto credo che l'opera
abbia ancora molto da dire. In ogni caso il
romanzo finale lo revisionerò nelle prossime settimane, poi, quando sarà il
momento, metterò in cantiere anche il secondo libro della trilogia. Le idee ci
sono già tutte, basta che dia il giusto ordine mentale e che metta le dita
sopra la tastiera, lasciandole scorrere liberamente.
Da Segreti di
Pulcinella, rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai
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Segreti di Pulcinella
sabato 14 novembre 2015
Parigi, 128 morti. Hollande:” Atto di guerra!”
Avviso a tutti i
lettori: questo articolo non sarà politicamente corretto. Quindi non
indignatevi, non lagnatevi e se proseguite nella lettura lo fate a vostro
rischio e pericolo.
Prima di iniziare
voglio esternare le mie condoglianze ai famigliari delle vittime e dei feriti
della notte di terrore parigina. Vittime e feriti innocenti, colpiti dalla
follia criminale di un terrorismo dove sembra che i soliti noti facciano il
possibile per assumersene la paternità, rivendicalo. Ma, senza che nessuno la
preda sul personale, non esprimerò il mio cordoglio alla Francia e alla
politica francese.
Diamo il via alle
danze. Innanzitutto mi è stata rovinata la serata televisiva. Dopo la visione
di un ottimo film, “The Call”, comunque i fatti bene o male sono noti a tutti,
ormai.
Che dire di questo “patè
parigino di carne umana macinata da proiettili e granate”- carne crivellata e
dilaniata dall’attacco di venerdì 13?
A proposito ieri mi sono scordato di fare qualche
gesto scaramantico, ed è avvenuto il cosiddetto “effetto farfalla” della teoria
del caos. Caos che a Parigi effettivamente c’è stato, facendomi venire in mente una frase pronunciata da n noto cantante
italiano nel 2009, che parafraserò: “Tutto torna indietro come un boomerang”.
Infatti non
dimentichiamo che è stato per volontà dell’ex presidente francese – il nano capoccione – se a Gheddafi è stata
fatta la festa e che adesso in Libia si pratica “Una splendida festa di morte”
(Stephen King – 1977), con mezza Europa, che come cani e cagne in calore,
leccavano il culo al francese, perché all’epoca l’imperativo era quello di
eliminare il leader libico, fisicamente, facendolo ammazzare, dalla scena
politica mondiale, per un debituccio contratto dal tappetto francese nei suoi
confronti. E da dove adesso dalla Libia, partono le carrette del mare cariche di emigranti economici, che fanno arricchire le
cooperative legate ai comunisti e al clero, perché l’Italia, come negli
autosaloni quando si deve presentare un nuovo modello, si pratica
indiscriminatamente “Le porte aperte!”
Adesso retoricamente
tutti gridano all’11 Settembre Europeo, Francese, Parigino, o come diavolo lo
si vuole chiamare. Non scadiamo nei discorsi da alcolizzati . Questi che hanno
fatto la “Danse macabre” (Charles Baudelaire – Fleurs du mal”, rispetto a chi ha praticato l’indesiderato coito anale agli
americani dell’11 settembre 2001, versione ufficiale a parte, quanto avvenuto
venerdì 13 – tocchiamoci – 2015 a Parigi, ha il sapore di una serie di raudi da
botti di capodanno, “sfuggiti di mano”, anche perché le vittime – terroristi compresi – negli U.S.A, furono
2974, mentre la scorsa notte nella città di Lady Oscar, attualmente il computo
si ferma a 128. Meno di un ventesimo, rispetto agli U.S.A. Ergo
il paragone non regge, anche perché lo si vede chiaramente anche dai volti dei
giornalisti e dei politici che lo ripetono fino alla nausea, che manco loro ci
credono.
Ma la domanda che tutti
si pongono è un'altra: è adesso?.
Naturalmente chiudiamo la stalla dopo che i buoi sono
scappati.
L’Europa, i politici europei, italiani e
francesi compresi, si meritano tutto ciò. Purtroppo quelli che crepano in questi
casi non sono i politici, colpevoli indiretti, ma i civili. Infatti, il
presidente francese è stato portato via dai guardia spalle, gli altri cittadini
potevano solo sperare di portare a casa la pellaccia.… Alla faccia della Libertè e soprattutto di Egalite, la Fraternitè
e andata a puttane!
Adesso si chiudono i
confini…
Ma prima cosa facevano
i servizi segreti di mezza Europa, francesi compresi? Si masturbavano sotto i
tavoli, infilandosi le baghette in un orifizio – la bocca, maliziosi che non
siete altro! – Oppure se ne stavano al Moulin Rouge a guardasi quella scosciate
che ballano il “Can Can?”
Ci sta poco da dire, i
terroristi, qualunque sia la loro nazionalità e chiunque li ha inviati, molto probabilmente o erano cellule
dormienti che sono state attivate, oppure, ipotesi più probabile erano dei
sedicenti profughi arrivati a Parigi con ordini precisi e per una missione
suicida. Sta di fatto che l’organizzazione del “Luna Park itinerante di sangue”
è stata ben orchestrata e non è impossibile ipotizzare che questi, visto che si
pensa solo a monitorare la rete, internet, i social network, abbiano utilizzato
sistemi di comunicazione a bassa tecnologica, visto che essendo quasi
completamente in disuso, non sono diversi dalle linee delle metropolitane
abbandonate,e quindi ricettacolo di ogni genere di balordi o terroristi.
E che farà adesso la
nostra povera italiaetta? Seguirà la linea del buonismo a prescindere, tipico
della Boldrini e di quei zozozzoni di
sinistra, oppure, finalmente il Paese si toglierà il guanto di velluto e
inizierà ad utilizzare, legalmente anche
con leggi ad hoc, il pugno di ferro? L’unica
mossa inutile, come quella del bambino che voleva mettere l’acqua del mare
dentro il secchiello, è quella di un rafforzamento dei controlli di terra, soprattutto
con la Francia. Bella mossa e i confini di mare? Lì continueremo ad andarceli a
prendere, con il pretesto di salvare vite umane, direttamente entro i limiti
delle acque territoriali libiche, per Diana!
In primo luogo, come già sta avvenendo in
Francia, invece di dare il giro di vite o di garrotta contro l’immigrazione
clandestina, rimpatriando, forzatamente, non semplicemente espellendoli fuori
da patri confini, lasciando a costoro la libertà di aggirarsi per l’Unione
Europea, si sta pensando restringere – come si fa sempre in questi casi, ecco perché
questi eventi sono come il cacio sui maccheroni – le libertà civili e individuali, non degli
eventuali colpevoli, ma delle vittime,ossia la maggioranza dei cittadini.
Ci sta poco da fare i
buonisti a prescindere. Come diceva il consigliere comunale del P.C.I. quando
si dovevano celebrare i funerali della signorina Cristina, in Don Camillo –
1952, “I tempi dei sentimentalismi sono finiti. Finiti!”
E come disse Jean Luc
Picard, in Star Trek “Primo contatto” 1996: I! Siamo scesi a troppi
compromessi, troppe ritirate. Invadono il nostro spazio, e noi ci ritiriamo.
Assimilano mondi interi, e noi ci ritiriamo. Adesso basta! Li dobbiamo fermare
qui, impedirgli di andare oltre... E io gliela farò pagare per tutto quello che
hanno fatto!”
Diciamocelo, ce la
siamo voluta, ce la siamo cercata. La politica europea degli ultimi lustri,
prona agli interessi Nato, Americani e
in parte francesi, ha portato a questa
situazione di caos generalizzato in Europa, a partire dall’abbattere Gheddafi,
al voler abbattere il legittimo governo siriano. Il colpo di Stato silenzioso in
Ucraina, con l’annessione quasi forzosa entro l’Unione Europea, Il tutto come sempre non per nobili scopi umanitari o di salvaguardia dei
diritti umani, o dei diritti civili. Dai, non pigliamoci per il culo. Di questi
diritti civili degli altri Paesi ce ne fottiamo bellamente. L’interesse è
quello solito di sempre: mettere le mani sulle loro risorse.
Solo che poi ci si incazza se ci viene
restituita, secondo le loro forme, la pariglia, appestandoci di sedicenti
profughi, che arrivano in occidente per farci mangiare la loro merda, che è
identica alla nostra stessa merda,perché sempre di merda si tratta. La guerra,
smettiamo di nasconderci, è il terrorismo di Stato, accettato, mentre il
cosiddetto terrorismo è la guerra che i poveri combattono contro i ricchi,
oppure il terrorismo è la guerra generata da coloro che si ribellano ai soprusi.
E la religione è solo un bieco e volgare
pretesto. Il fatto che qualsiasi figlio di cagna o di scrofa urli, prima di
ammazzare a sangue freddo dei disgraziati innocenti, “Allahu Akbar له أكبر”
è un’offesa nauseabonda al proprio Dio, perché questi cani della loro tanto
decantata religione, non hanno compreso nulla e usano i deboli di mente,
persone prive di valori etici e morali, per piegarli alle loro volontà
criminali e alla loro visione ideologica del mondo.
Rimango convinto e in
questo momento molti mi odieranno, che il vero Islam, la vera Fede, è un’altra
cosa e non ha nulla a che fare con teste tagliate ed esecuzioni sommarie e
viltà proferite contro degli innocenti, indipendentemente da qualunque sia il
loro credo religioso.
È anche vero però che
il vecchio continente se cercata perché non ha una strategia politica di ampio
respiro, non ha una visione strategica, ma semplicemente tattica e miope dello
scacchiere geopolitico mediorientale e nordafricano. E questi sono i risultati.
Abbiamo lasciato chel’Isis
si rafforzasse, e anche le capre sanno
chi lo finanzia, presuntuosi nell’illudersi che volesse fermasi alla Siria, all’Afganistan, all’Iraq, perché, chi lo ha creato lo credeva
un cane fedele al guinzaglio, che poteva essere tenuto buono con qualche
polpetta di carne di maiale… Mentre invece si è evoluto ed è diventato come il
Kraken che con i suoi tentacoli ha
raggiunto anche quello che ha la presunzione
di credersi il cosiddetto mondo civile.
E adesso in una Parigi
sospesa in un limbo di terrore, gli unici che fanno affari d’oro, sono i
fioristi..
Marco Bazzato
14.11.2015
Foto presa da
Repubblica
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