mercoledì 9 gennaio 2013

L’evoluzione etico-filosofica è frutto anche di “Mio cugino”


Oggi ho deciso di cambiare un’immagine. Ho tolto la mia foto a lato, lasciando quella che porta alla  mia pagine di Facebook, mettendo quella di “Mio cugino”. Così ho sempre chiamato il teschio di gesso che mi segue da decenni, acquistato quasi più di  venticinque anni fa, nei pressi di una delle tante bancarelle di souvenir, presenti nelle immediate adiacenze della Basilica di Sant’Antonio da Padova, a poche decine di metri dalla statua del Gattamelata. Una volta acquistato, al prezzo di cinquemila lire, gli tolsi la porporina con la mola e lo ridipinsi di nero opaco con una bomboletta spray. Il colore che vedete da oggi è ancora quello di allora.

“Mio cugino” come lo chiamai dall’inizio, non ha nessun rifermento a qualche parente vivo o morto, è un vezzeggiativo che gli diedi, in quanto pur nella diversità e nella miniatura, rappresenta quello che sono e quello che tutti noi siamo, quando si è spogliati del guscio esterno della vita, della pelle e dei muscoli che ricopre il volto umano e l’intero corpo.

 “Mio cugino” rappresenta ora come allora l’essenza, il Principio Primo, l’austero volto apparentemente orrorifico, mitizzato dal cinema e dalla letteratura di quello che è il teschio di un essere umano, consacrato all’immortalità nella tragedia Hamlet, grazie al monologo del Principe Hamlet: «To be, or not to be, that is the question…», «Essere o non essere, questo è il dilemma…» presente nell’opera di William  Shakespeare.

“Mio cugino” non ambisce all’eternità, egli fa già parte da decenni della mia eternità, in quanto presente in me, nella sua forma originaria che si è modificata nel corso degli anni e che sento viva e pulsante, così come lo è dentro, lo è anche fuori.

“Mio cugino” rappresenta la somma di ciò che sono e di quello che a mio avviso l’essere umano è; l’Alfa e l’Omega, l’Eros e il Thanatos, Cloto e Lanchesi e Atropo, le tre figlie di Zeus, ossia il “Filo” del “Destino” “Ineluttabile” .

 “Mio cugino” impersonifica l’alba e il tramonto della vita, l’impasto di acqua e fango del mito o della credenza della Creazione, il transito del disfacimento della materia ossea in polvere, durante l’eternità della morte.

Egli è in Vulcaniano il Kol-Ut-Shan ossia l’IDIC, le “Infinite diversità nelle infinite combinazioni”, concetto nato durante il periodo della preriforma  fattada Surak, fondatore del pensiero moderno del pianeta, che diede la genesi a “La mia freccia nel tuo cuore, la tua nel mio. Io sono te e tu sei me.”

Anche e non solo, tramite “Mio cugino” tutte queste essenze e pensieri mi hanno evoluto portandomi ad abbracciare lo stoicismo e il pensiero epicureo, portante la persona a elevare verso il “senso dell’onore” così come è stato instillato millenni fa su Qo’noS, grazie a Kahless l’indimenticabile, uccisore del tirano Molor ed il proprio fratello anarchico.

“Mio cugino” – spero anch’io e altri, – racchiude la stratificazione millenaria di molteplici culture e pensieri etico-filosofici di illustri pensatori che hanno lasciato traccie nella cultura che plasmato non solo la civiltà occidentale, ma che ha fornito migliaia di anni fa, la possibilità a civiltà extraterrresti di evolversi verso quel senso di distacco, legato all’applicazione della C’hatia, ossia la “Verità vera”, dopo aver effettuato il rito di passaggio del Kolinar, per lasciarsi andare alla logica totale, capace di controllare, e non sopprimere le emozioni, come erroneamente venne tradotto nella prima versione del dizionario vulcaniano-americano, da Amanda Garrison, futura moglie dell’Ambasciatore Sarek  in seguito genitori di Spok. .Amui, in vulcaniano, non significa “soppressione” ma bensì “controllo.”

“Mio cugino” è e rappresenta tutti e nessuno, “Uno, nessuno e centomila”, essendo simbolo dell’incarnazione dell’eterno divenire che si evolve, come se potesse trasformarsi nella Pietra Filosofale, che dalla fredda materia, del gesso in questo caso, trasmuta, rimanendo fedele a se stesso, facendo emergere, come un immenso brandello di terra emerge da una fossa oceanica, un’isola, dove nelle profondità degli abissi dell’inconscio ci sta l’imperscrutato e imprescrutabile vera origine del pensiero umano, che come una doppia piramide le cui due punte toccandosi, convogliano dal basso verso la punta in alto i pensieri che partono dall’inconscio, i quali toccando la punta della piramide rovesciata si innalzano verso l’alto, espandendosi nel cosmo, invertiti ma dimenticati nella loro essenza originaria, all’interno di un processo di interscambio interno-esterno, esterno-interno infinito ma finito, che non termina con la morte, ma come per la “Radiazione cosmica di fondo” ossia la radiazione elettromagnetica che permea l’Universo dal Big Bang, perché in ogni essere umano, dal momento del’espulsione del seme maschile, è figlio di un Big Bang orgasmico, che se giunge all’unisono con la donna, potrebbe generare attraverso la “piccola morte” la continuazione dell’Universo stesso, attraverso una moltitudine quantistica di universi, tanti quanti sono gli esseri umani, e vissuti nel Cosmo,  o nel Pianeta Terra dal momento dopo in cui la scimmia, scesa dagli alberi, ha iniziato il suo processo evolutivo per essere ciò che è dall’inizio del tempo: materia dotata di massa che occupa uno spazio.

Un grazie a “Mio cugino” per avermi preso, pur non avendo costui un corpo, la mano, riscaldandola durante l’attraversamento dello spazio-tempo,seguendomi e guidandomi come un faro che nulla dice e che nulla giudica, ma che dalle cavità dei suoi occhi assenti continua a fissarmi e starmi accanto, lasciandomi la libertà  evolvermi anche sbagliando, , di essere e di esistere, perché alla fine si è anche figli del “ Cogito ergo sum” di Cartesio.

Marco Bazzato
09.01.2013

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