lunedì 12 gennaio 2015
La straordinaria nevicata dell’85
Romanzo
di Massimo Acciai
Devo ammetterlo, il
romanzo inedito di Massimo Acciai
all’inizio mi ha lasciato titubante. “La straordinaria nevicata dell’85” è un
romanzo che, passatemi il paragone motoristico, scalda lentamente il lettore
come un motore diesel della VM, fabbricato a Cento, in provincia di Ferrara, della
prima metà degli anni ’80, ma che poi può portarti ovunque, in quanto a
robustezza e affidabilità, scorrendo lungo le vie della narrazione in modo,
fluido omogeneo e senza strappi.
Eppure Massimo Acciai mi ha stupito
perché non è facile raccontare oggi, quando si ha come arco di volta uno
scrittore H. G. Wells e il suo più
celebre romanzo The time machine,
dove se all’inizio questo accostamento può apparire pesante, poi è un po’ come se
ci fosse un padre che getta l’occhio benevolo su un suo ammiratore-discepolo, proveniente dal futuro.
Il viaggio del tempo è sempre stato il sogno irrealizzato dell’uomo e
attualmente impossibile, per via dei limiti della scienza attuale e i paradossi
che esso potrebbe comportare, ma lo scrittore fiorentino entra nell’orizzonte
degli eventi, nella singolarità, attraverso una porta non certo nuova, ma di
sicuro effetto: l’ipnosi regressiva.
In questo viaggio “onirico” è accompagnato come ogni paladino che si rispetti
da due “scudieri”, Amarilla e il padre Guidoberto Negrini, per incontrare nel
passato se stesso, non in una data scelta a caso, no, ma come recita il titolo,
nella grande nevicata del 1985, con l’autore che ci porta nella sua amata Firenze, rapendo
il lettore guidandolo all’interno della Firenze della vita quotidiana del 1985,
per incontrare se stesso, o meglio una proiezione dei suoi ricordi che, tramite l’ipnosi regressiva, ma che a
differenza e in antitesi Back to the future partII , il romanzo prende
avvio nel 2015.
È ben evidente e presente
nell’opera il lavoro di ricerca storica
e documentaristica fatto dallo scrittore
per trasportare il lettore nel 1985, che apparentemente sembra dietro l’angolo, ma
che nei fatti appartiene addirittura al millennio passato e Massimo Acciai lo
fa con delicatezza e soprattutto senza quella retorica che sovente colpisce lo
scrittore poco smaliziato che si lascia prendere la mano dalle parole,
facendoci scoprire non la Firenze turistica, quella delle luci e dello sfarzo
artistico del Rinascimento dei De Medici, ma la
capitale mondiale del Rinascimento dell’uomo comune, fatta di piazze,
stradine, vicoli, supermercati, negozi, profumi e sapori, che oggi sono
cambiati, o come per i dinosauri che si sono estinti, se riscoperti e scrostati dall'erosione del tempo, sono fossili e
vestigia di un mondo perduto.
Ritrovarsi catapultati nel 1985 e incontrare se stessi, confrontarsi con quelle
che erano le aspettative di un fanciullo con ciò che poi si è diventati, o che
la vita ha fatto diventare non è un impresa facile, anche perché i ricordi
cambiano, il cervello ne crea di falsi, sovrapponendoli ed eliminando quelli
che ritiene inutili, ma fermando il tempo, come l’orologio della torre nella
piazza centrale di Hill Valley, quando
venne colpita da un fulmine nel 1955, e nel
caso del protagonista, assistiamo al
classico scontro generazionale – con se stesso, dove tutto è in parte ricordi
malinconia e gioia per ciò che è stato, ma nel se stesso bimbo, vedersi e
conoscersi e riconoscersi da adulto è uno shock, in quanto, quasi mai, nessuna vita prende le direzioni limpide e
pure che si sognano da ragazzini.
Nel romanzo gioca un ruolo importante Amarilli, la giovane figlia del suo
amico Guidoberto Negrini, la quale, almeno nella mia percezione, sia per il
carattere e le movenze in determinate situazioni sembra un personaggio di un
manga giapponese, una cosplay dai grandi occhi luminosi e pieni di vita, dotata
di forza e temperamento non indifferenti, nonostante la grave malattia cardiaca
che la affligge.
È interessante come l’ipnosi regressiva si sovrapponga con la buca del coniglio, dove il professor
Jake Epping entra/esce, quando riemerge/ritorna nel/dal 1958, scendendo/salendo
da una scala di un magazzino della tavola calda “Al’sDinner” di Al Templeton, nel romanzo 22.11.1963, di Stephen King, come una sorta di
tunnel spaziale letterario,che senza mai
essere in simbiosi, mette in contatto due universi sconosciuti, uniti dal
desiderio di rendere reale, nella realtà romanzata, ciò che forse è una delle
maggiori aspirazioni dell’uomo: illudersi di cambiare, cambiando e interagendo
con il proprio passato, il proprio o l’altrui futuro.
Massimo Acciai,innanzitutto racconta e si racconta, si spoglia pezzo dopo
pezzo, come quando, rientrando a casa dai grigiori imbiancati dell’inverno, al
caldo, ci si toglie indumento dopo indumento, mettendo a nudo il suo Io bambino
e il suo essere uomo, l’uno innanzi all’altro, così’ diversi, ma in fin de conti
uguali, perché in ogni uomo ci sta l’evoluzione del suo Io bambino, che alla
fine, anche se invecchia, rimane sempre se stesso, modificandosi sì
nell’aspetto esteriore, ma sviluppando e
facendo emergere il suo Io interiore, lungo le strade i percorsi che lo
formano e lo modellano, a volte come la morbida creta, altre, facendo emergere
il freddo marmo dell’anima.
Ne “La straordinaria nevicata dell’85”
ci sta un filo ancora più sottile che lega tutta la storia, è un filo che si è
spezzato, il filo, presente nel cuore, nei ricordi e nelle immagini che
conserva nella mente della propria madre. Attraverso le parole dell’autore
possiamo sentire la struggenza del dolore che lo accompagna. Quel dolore che
può essere compreso nella sua devastante purezza solo da chi è stato segnato da
questo lutto, e che lo scrittore ci fa omaggio, condividendo con leggerezza
melanconica quel peso che è tutt’ oggi è presente nel suo personaggio
letterario.
Massimo Acciai, come l’orologio della torre di Hill
Valley, ferma il tempo. Ferma il suo tempo, come metafora di quelle lancette
bloccate che ogni persona si porta appresso, lancette bloccate per un evento
positivo, negativo, per un dolore o per una perdita, ma quelle lancette, devono
prima o poi prendere i loro bei “1,21
gigowatt” per ripartire, perché, come scrisse la moglie di Hubert
Fiorentini Miko, in Wasabi , ognuno
dovrebbe avere il coraggio di andare “La dove tutto ebbe inizio...la dove tutto finì”, perché come ci fa capire l’autore, quello è forse
l’unico modo per ricominciare, in pace
con il proprio passato e la propria storia.
Marco Bazzato
12.01.2015
Biografia dell’autore tratta dal sito dell’Associazione
Culturale PotetiKanten
Massimo Acciai nasce a
Firenze nel 1975. Laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di
Firenze nel 2001, con una tesi sulla comunicazione nella fantascienza. Si è
interessato molto presto al genere narrativo fantascientifico e fantastico in
generale, scrivendo e pubblicando brevi racconti su riviste in italiano e in
Esperanto e classificandosi in vari concorsi letterari.
Nel 2003 fonda la rivista culturale online Segreti di Pulcinella
(www.segretidipulcinella.it) insieme a Francesco Felici. Dal 2007 al 2008
collabora con il musicista siciliano Paolo Filippi, per il quale ha scritto
circa 140 testi di canzoni, ed altri artisti tra cui Matteo Nicodemo.
Nel 2009 appare il suo primo e-book, edito da Faligi, in esperanto e in
italiano, "La sola absolvita / L'unico assolto". Presso la stessa
casa editrice sono usciti anche il romanzo fantasy "Sempre ad est" e
il saggio "La metafora del giardino in letteratura", scritto insieme
a Lorenzo Spurio, entrambi nel 2011.
Presso Lettere animate è uscito nel 2012 la raccolta di racconti "Un
fiorentino a Sappada". In seguito sono uscite "La nevicata e altri
racconti" (Edizioni Montag, 2013), la silloge poetica "Esagramma
41" (Faligi, 2013), "C'era una casa su in collina..."
(Photocity, 2014) e "Apologia del perduto" (con Lorenzo Spurio,
Arpeggio Libero, 2014). È redattore della rivista letteraria "L'area di
Broca" dal 2006.
E' anche autore di video, musicista e performer nel gruppo dei PoetiKanten.
Etichette:
Letteratura,
recensioni
1 commento:
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Grazie Marco :) Bellissima recensione
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