giovedì 26 settembre 2013

X Meeting internazionale degli scrittori, 23-24 settembre 2013, Sofia, Bulgaria

La forza e la debolezza  delle parole nel mondo futuro

Egregio Ministro  della Cultura, signore e signori,   
desidero ringraziare il Presidente dell’Associazione degli scrittori bulgari,il signor Nicolay Petev, il poeta e scrittore Liubomir Levcev,  l’Associazione degli scrittori bulgari e gli organizzatori per avermi nuovamente invitato a questo ennesimo incontro mondiale degli scrittori.

Signore e signori, desidero iniziare il mio intervento con un antico proverbio africano: Il futuro non esiste, l’unico futuro è il passato”.

Mi sono chiesto per giorni il senso de “La forza e la debolezza delle parole nel mondo futuro”, rendendomi conto di quanto per lo più oggi siano diventate deboli. Deboli come gli impulsi  emessi dalla sonda Voyager 1 che ha lasciato il Sistema solare, con il segnale che impiega circa 17 ore per raggiungere la Terra.

Oggi le nostre parole sono come quel segnale: deboli e non diverse da un sasso scagliato nell’acqua immobile che crea piccole onde concentriche, svanendo in un attimo.
Dobbiamo rendercene conto: siamo deboli, le nostre parole, anche se nascono da spiriti forti, escono deboli, escono come echi distanti e distorti in un mondo invaso da un rumore di fondo assordante e sono quasi impossibili da percepire, figuriamoci cosa resta capirle, comprendere,  farle nostre.

Alcune notti fa , ripensando alla sonda Voyager 1, lanciata nel lontano 1977, osservavo la Costellazione di Orione. Una Costellazione che ha ispirato molte civiltà passate e  innanzi all’immensità dello spazio,  mi dissi che non si può fare a meno che sentirsi piccoli, dentro questa cellula chiamata Pianeta Terra, popolata, assieme a milioni di specie animali e vegetali, anche da una razza animalesca, sovente impropriamente considerata senziente: l’uomo.
Ma perché noi uomini abbiamo l’ardire di autodefinirci  esseri senzienti? Perché sappiamo scrivere? Perché sappiamo inviare sonde nello spazio? Perché sappiamo edificare case, palazzi, autostrade, rimanendo connessi – teoricamente – gli uni agli altri in tempo reale  giorno e notte? Sì forse in questo siamo forti, ma come contropartita abbiamo una debolezza universale che nessun politico vuole affrontare a livello globale: non siamo diversi dall’uomo primitivo. Non siamo diversi dall’uomo di Neanderthal che trascinava per i capelli la femmina dentro la caverna, perché le violenze, le guerre, come per i primitivi, sono ancora per il controllo del territorio e per il possesso delle risorse naturali, continuano  a permeare i rapporti tra Stati, alleati o traditi, a seconda della convenienza o degli interessi degli apparati industriali e militari che, grazie alle guerre, gettano scorie nucleari in casa d’altri, rivestendo i proiettili di uranio impoverito, per risparmiare sui costi di stoccaggio delle scorie radioattive, o, come fanno alcuni Paesi e/o ribelli, finanziati - fingendo di non sapere da chi - che gasano i civili come ai tempi dei nazisti con lo Zylcon B.

Ma anche nei rapporti sociali non siamo diversi: le parole continuano ad essere vigliaccamente forti con i deboli e colme di piaggeria e inchini verso i cosiddetti potenti, come se fossero diversi o migliori dei presunti inferiori, non per quello che sono, ma solo per chi o cosa rappresentano.
Siamo deboli e anche in futuro saremo ancora più deboli, fino a quando non si avrà il coraggio di guardare in faccia alla realtà: viviamo su di un sasso che viaggia ad una velocità di fuga nello Spazio di 40.320 chilometri orari, con la vita umana di ogni singolo uomo  che è inferiore ad un battito di ciglia, sottile ed eterea come un filo di seta, eppure siamo così impregnati e portatori da meschinità, di rancori personali, di desideri di vendetta, di odio, di possesso, cupidigia, corruzione, di depredazione, depravazione e furto, che non si vuole accettare che basti un soffio di vento, un’onda anomala, uno scuotimento non dissimile da uno starnuto del sasso che ci trasporta  nello Spazio, per diventare polvere, cenere e materia oscura.

Le annose domande di oggi, come già da prima del 1887, sono ancora quelle: “da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo”, espresse su tela dal pittore francese Paul Gauguin. oggi come allora non sappiamo, oppure, codardamente, mettendo la testa sotto la sabbia, fingiamo di non vedere, di non capire, affidandoci –  citando l’evangelista Matteo, 23, 24 – a “guide cieche e stolte che colano il moscerino e ingoiano il cammello”, perché viviamo con l’illusione che taluni, in quanto eletti, più o meno democraticamente, siano degli Eletti.
Fino a quando l’uomo comune e anche noi, poeti e scrittori, dotati in quanto uomini di miserie e meschinità, non sapremo andare oltre noi stessi, rendendo la nostra voce pacatamente forte e salda con i forti, e soavemente dolce con i deboli, ma amorevolmente forte, come l’abbraccio di una madre che stringe a se il proprio figlio neonato, forse da quel momento potremmo capire che siamo un tutt’uno con il tutto. Ma il pensiero del “primitivo” homo sapiens sapiens è ancora troppo ottusamente chiuso per poter comprendere la bellezza e l’armonia della semplicità insite nelle complessità. Per questo, oggi come all’inizio della storia umana, continuiamo ad essere deboli con la parola, il verbo, il messaggio, anche se si vive nella saccente e dispotica presunzione di credersi forti, si disperdegià a pochi centimetri da chi sta vicino a noi. E infatti, sembra un paradosso ma oggi, così in futuro, l’unica vera  forza della parola potrebbe essere il silenzio, ma da sempre si ha paura del silenzio, perché ci costringe ad ascoltare, sentire e percepire il nostro primo nemico: noi stessi, visto che la forza roboantedel silenzio ci spaventa a morte!

Grazie per l’attenzione
Marco Bazzato

Sofia, 23.09.2013

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