Obbligare a vivere in modo invivibile anche chi reclama il diritto alla liberalizzazione del fine vita anticipato.
Questa è la pretesa assurda delle Associazioni Provita, che chiedono alla trasmissione “Vieni via con me” di Fabio Fazio, il diritto di replica dopo l’intervento della vedova di Piergiorgio Welby. Per annacquare le coscienze degli italiani il diritto che hanno acquisto, grazie alla loro battaglia Piergiorgio Welby ed Eulana Englaro di morire dignitosamente?
È chiaro che dietro c’è il Vaticano e le sue “armate” ideologiche.
Esistono persone che seppur gravemente malate hanno il diritto di concludere la vita quando il destino o il fato deciderà per loro. Costoro – per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista – a tutt’oggi sono la maggioranza, e visto che per lo Stato taglia sull’assistenza, sono considerati una partita in perdita. Evidentemente a parole costui è Provita ma nei fatti vorrebbero essere pubblicamente, ma non possono, essere favorevoli al diritto alla liberalizzazione del fine vita anticipato.
Ma esiste una minoranza silenziosa che chiede il diritto di morire e vorrebbe, che lo Stato non interferisse,non legiferando, sulle decisioni individuali e/o famigliari del paziente, affinchè gli affanni e le sofferenze non siano prolungate arbitrariamente per soddisfare anche il desiderio di ricerca e diagnostica nei malati, con i conseguenti traumi emotivi per i famigliari. Perché non va dimenticato che anche un malato incurabile, di cui i medici stessi sono certi dell’impossibilità di guarigione, finiscono entro una statistica, dentro fredde cifre non diverse dal brusio di un respiratore artificiale che tiene in vita un corpo allo stato vegetativo, rendendo l’uomo una mera cifra, “utile” ai fini della ricerca.
La vita, che piaccia o no, è “regalo” non richiesto, ma di cui l’uomo dal momento della nascita ne diviene unico e legittimo proprietario. A lui e solo a lui, compete il diritto di scelta se e come proseguirla, quando sente che essa non ha alcuna ragione d’essere vissuta.
“Vivere” con una malattia incurabile, qualunque essa sia, non dovrebbe essere un obbligo sancito dallo Stato, ma morire dignitosamente, avendo la tutela giuridica contro la rivalsa penale della “Giustizia” nei confronti dei medici che aiutano a liberarsi dalle prigionie di una vita impossibile da vivere, sì. Il che non significa attuare l’eutanasia di Stato, ma la liberalità – sancita per diritto di scelta individuale e non soggetta da restrizioni provenienti per interposte istituzioni da uno Stato straniero, mantenuto e foraggiato dall’Italia.
Alcuni la chiamano eutanasia, altri suicidio assistito, altri ancora dolce morte, oppure scelta consapevole, parole che formano nella mente immagini diverse, a chi positive e ad altri negative, a terzi indegne per chi vede nel diritto alla liberalità e alla liberalizzazione della morte un diritto per cui vale la pena combattere a livello intellettuale e formativo, ma soprattutto umano.
Perché, scegliere come e quando abbandonare un “dono”? Perché dovrebbe si avere il diritto di dire basta, non intendendolo come una sconfitta per la vita, anzi, ma come una vittoria della vita che non è attaccata a se stessa.
Non bisogna essere falsi o ipocriti, ma liberalizzare il diritto alla morte, equivarrebbe e liberare risorse economiche e umane e professionali a beneficio di coloro che scelgono di vivere – nonostante i coma irreversibili e/o altre patologie senza via d’uscita, offrendo loro i servizi e i sostegni adeguati che meritano.
I difensori ad oltranza, forse per visione ideologico-religiosa, si ostinano a non voler capire che coloro che avranno la liberalità del proprio destino, sceglieranno di donare la propria morte a chi vuole continuare a vivere, destinando così, leggi dello Stato permettendo, i risparmi effettuati su cure, degenze ospedaliere, assistenza domiciliare, terapie, fisioterapie a coloro che per scelta o scelgono di “pesare” sulla sanità pubblica e sulle tasche di famigliari – visto che lo Stato stesso non sempre aiuta e fornisce i supporti adeguati, sia di personale sia di assistenza anche psicologica, lasciando tutti sospesi in un limbo d’attesa, attendendo che la volontà di qualche divinità si compia – fino alla fine “naturale” – clinicamente e legalmente inesistente.
In fin dei conti l’accanimento fino alla”morte naturale” è un concetto sociale riprogrammabile nelle generazioni future, usando giusti messaggi mediatici e culturali.
I medici legali sanno che la morte per cause naturali non esiste e non è formalizzabile in nessun referto autoptico, visto che bisogna trovare l’organo primo che ha ceduto e le cause che lo hanno provocato, generando quella serie di eventi a catena irreparabili che conducono allo “spegnimento” di una persona.
Proviamo a ipotizzare una società fra cento o duecento anni delcericalizzata, devaticanizzata, liberata dal rapace Concordato tra Stato e Chiesa, e dove gli italiani, privi delle influenze del pseudo cristianesimo, possono scegliere, secondo quello stesso “libero arbitrio” che una divinità sconosciuta – arbitrariamente postulata – avrebbe dato all’uomo. Il paradosso della divinità cattolica si mostra in tutto il suo assurdismo ideologico perché questo dio ti dona la vita, poi si incazza per come si utilizza una cosa che ti appartiene e se non rispetti le “sue” regole, declamando un arrostimento eterno mai comprovato.
In un utopico paese libero, lo Stato conserverebbe il pieno diritto/ dovere di mantenere in vita i malati terminali che lo desiderano, concedendo al contempo la liberalizzazione del diritto di scelta, preventivamente espresso dai cittadini di essere “aiutati” a liberarsi del fardello della vita nel caso di malattie completamente invalidanti a livello fisico o neurologico, magari introducendo sgravi fiscali per gli eredi o per i famigliari, se si scegliesse il “diritto al fine vita anticipato”.
La dignità dell’uomo
la si ottiene anche grazie alle liberazione dalle catene che tengono prigioniere una vita che si sente inutile, sia come peso per i dolori da sopportare per se stessi e per gli altri. Chiaramente dovrebbero esistere dei protocolli rigidissimi, dove vengono accertate oltre ogni ragionevole dubbio le volontà di una persona, grazie al testamento biologico, oppure ad atti depositati gratuitamente presso un notaio, o in un ufficio comunale, dove il si dispone del proprio corpo a piacimento, lo si fa già con il dono degli organi, con l’obbligo di ottemperare le volontà inscritte, fermo restando il diritto di cambiare idea e di vivere, nonostante tutto, fino al sopraggiungere della “morte naturale”.
La malattia è un calvario spesso impossibile da superare, anche dopo la guarigione,, dove l’ombra di quella morte scampata fa vivere la persona con l’atroce certezza che la vita ha un senso se vissuta nella pienezza dell’attimo, nel piacere di poter vivere in modo dignitoso e umano, potendo assaporare quei piaceri che talvolta la malattia uccide.
Dovrebbe essere compito delle istituzioni stillare un elenco delle malattie che possono permettere al cittadino di decidere per se stesso nel caso che si manifestassero, formando così anche una categoria di medici votati all’esecuzione delle volontà dei pazienti che hanno espresso il diritto di morire, se venissero colpiti da patologie precedentemente inserite.
Spetta allo Stato stabilire delle regole certe, in modo che i cittadini non si sentano sudditi obbligati a vivere, ma cittadini liberi di morire, per evitare così quei “viaggi della morte” in altri paesi più avanzati e meno clericalizzati del nostro, già permettono questa scelta, mantenendo all’interno dei patri confini il denaro speso, rimettendolo in circolo nell’economia italiana.
Il diritto al fine vita anticipato non dovrebbe essere richiesto dai cittadini, ma capito dai governanti se hanno a cuore il benessere e la salute dei loro stessi connazionali, e non essere proni a visioni ideologiche di uno Stato straniero che anche oggi impone il suo pensiero e le sue leggi ad uno Stato sovrano, l’Italia, costringendo chi la pensa diversamente a combattere per logiche e umane battaglie di libertà.
Il paradosso è che uno Stato che taglia i fondi per la sanità, se fosse retto da persone che usano la ragione, capirebbe che i migliori alleati non sono le cosiddette Associazioni Provita, ma coloro che si battono per la “liberalizzazione della morte”, perché indirettamente aiutano lo Stato a sostenere, stanziando risorse, nei confronti di coloro che nonostante tutto vogliono e desiderano vivere in pienezza – se così credono che sia pienezza – la loro vita.
Marco Bazzato
29.11.2010
http://marco-bazzato.blogspot.com/
lunedì 29 novembre 2010
Vieni via con me:Il diritto alla liberalizzazione del fine vita anticipato
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