lunedì 27 novembre 2017
Olio di Cocco Nativo
Perché parlare oggi di
olio di cocco?
Solo per una semplice
moda, o perché dietro al trend del momento ci stanno secoli di storia, iniziata
nel sud-est asiatico che noi occidentali abbiamo imparato ad apprezzare da un
tempo relativamente breve?
Certo, sovente le mode
vanno e vengono, tornano, si evolvono, mutano, ma certi valori rimangono
inalterati nel tempo e uno di questi valori è proprio l’Olio di Cocco.
Lo ammetto, fino a poco
tempo fa conoscevo l’Olio di Cocco solo per sentito dire, ma poi, iniziando ad
interessarmi per diletto, mi sono messo a leggere pagine e pagine web in rete,
sugli effetti positivi per la salute umana ma non solo di questo straordinario
prodotto, prodotto di cui però bisogna essere certi della provenienza e
soprattutto che sia vero Olio di Cocco Bio.
Ed è così che mi sono
imbattuto in una nuova realtà commerciale tedesca, nata nel 2016 che oltre ad
altri prodotti Bio, ha fatto una mssion importante, la vendita al privato,
tramite Amazon,
oppure per gruppi d’acquisto italiani, associazioni animaliste, parrucchieri,
ristoratori,dentisti, aziende che
interessate all’acquisto in stock, da proporre alla loro clientela con il loro brand, rivolgendosi direttamente allo
scrivente, per ulteriori informazioni e/o per ricevere offerte dettagliate.
Perché ho parlato di
gruppi d’acquisto?
Perché il gruppo
d’acquisto offre l’opportunità di ottenere degli sconti quantità, facendo
un'unica spedizione, abbattendo così non solo il prezzo unitario, ma anche i
costi di spedizione, franco destinatario.
Certo, prima di dire ok
a tutto ciò, ho voluto informarmi sulla realtà aziendale e sulla provenienza
del prodotto importato in Europa, e stando a quanto scritto nel sito dell’importatore,
il Coco nativo, proviene dallo Sri Lanka. Alla luce di tutto ciò, per
sincerarmi ancora meglio della bontà del paese di provenienza, nei giorni
scorsi ho scritto ad una persona molto attiva nel mercato equosolidale, la
quale, è stata ben felice di apprendere che il prodotto non veniva importato da
altri Paesi del sud-est asiatico,che non rispettano né i diritti umani e
nemmeno quelli animali (scimmie).
Perché credo nella
bontà di questo prodotto?
Perché avendo parlato
per settimane via Skype con l’importatore tedesco, ho potuto apprezzarne la serietà,
la professionalità la preparazione anche e sotto l’aspetto etico e questo mi ha convinto
dell’alta qualità dell’Olio di Cocco Bio Native, unita alla certificazione
presente nell’etichetta di ogni singola confezione il “Ceres Certified”,
sito in inglese, tedesco e spagnolo, che ne garantisce la provenienza Bio.
Perché l’olio di Coco Nativo
dovrebbe essere presente nelle vostre case?
Se scrivessi pari pari
le caratteristiche riportate dal sito, potrei essere accusato d’essere di
parte, per questo preferisco dare un informazione più ampia, inserendo diversi
link neutri dalla rete italiana, in modo che possiate fare non solo un
eventuale acquisto informato, ma consapevole di cos’è Olio di Cocco in
generale e, in questo caso, Olio di
Cocco Bio Native, non indurito, non raffinato e non deodorato.
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco per la bellezza dei capelli;
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco per sbiancare i denti;
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco in cucina:
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco per viso e corpo,
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco contro la cellulite;
I possibili benefici
dell’Olio
di Cocco per i vostri Pet;
Come ultima cosa, non
meno importante, sia per il consumatore privato, sia per eventualmente i gruppi
d’acquisto: Il rapporto qualità/prezzo.
Facendo una lunga
navigata in rete, durata ore e ore, ho potuto appurare che il prezzo del Olio
di Cocco Nativo è il più concorrenziale, rispetto anche alla grammatura da
1000ml/920grammi, presenti attualmente sul mercato online.
Per ulteriori
informazioni, contattatemi privatamente, via messaggeria, tramite la mia pagina
Facebook.
© del testo di Marco
Bazzato
lunedì 23 ottobre 2017
Pull a pig
Pull a pig,
letteralmente tradotto dall’inglese, “Inganna il maiale”, ma visto che il “gioco”
se di tal cosa si può parlare, andrebbe tradotto, volgendolo al femminile, con “Inganna
la scrofa”.
Ormai è noto che questo
non è certo un nuovo gioco, ma una semplice rivisitazione in chiave tecnologica
delle scommesse che si facevano da ragazzi, da teenager, da adolescenti, e perché
no, anche da adulti, quando tra amici, anche vincendo una certa forma di repulso,
si scommetteva nel “farsi” non solo la più cessa della scuola, ma in quei casi,
anche la più grassa, dicesi cicciona o altri aggettivi oggi considerati “fuori
moda”, soprattutto nel mondo virtuale dei social network, soffocati dalla
dittatura espressiva dei censori occulti, che ti bloccano l’accesso se provi,
come si diceva in passato, “a farla fuori dal vaso”, detta in termini più
attuali, se non usi un linguaggio non consono, dove il sessismo, anche in
termini generali, risulta offensivo per la suscettibilità delle donne e/o
femmine, le quali dovrebbero, sebbene siano in numero superiore rispetto ai
maschi, essere trattate, in rete, come dei Panda e protette, come si adopera il
WWF con le specie diversamente umanoidi, che popolano il pianeta Terra.
Il vecchio, ma presunto
nuovo gioco, antico come il mondo, Pull
a Pig sembra facile, ma la cosa va letta non solo in chiave femminile e/o
femminista, ma dovrebbe anche andar letta dal punto di vista maschile.
In quanto, mettiamoci
nei panni anche del ragazzo, il quale, come una prova di iniziazione per essere
accettato dal gruppo, deve avere lo stomaco e il fegato di interagire in un
modo o in un altro con una persona di sesso opposto, esteticamente attraente
come un boiler e non è detto che l’impresa titanica vada sempre a buon fine, perché
il maschio è “costretto” a mettere in atto, controvoglia, una serie di artifizi
psicologici, innanzitutto verso se stesso, per vincere sia le sue resistenze
interiori e poi quelle di lei. Dove spesso queste donne, avendo una bassa stima
di se stesse, a causa dell’aspetto fisico, essendo forse più diffidenti di
quelle fighe, di quelle ghocche che se la tirano, sono anche le più difficili
da conquistare, in quanto prima di “mordere l’osso”, ci sta una quantità
mostruosa di carne, di adipe, da superare e quindi a costoro, per assurdo, dovrebbe
essere data una medaglia, non essendo affetti da una parafilia sessuale che va
sotto il nome di “Adipofilia!”
Ma può essere anche
vero l’esatto opposto, ossia, costoro, avendo una bassa autostima, cadono ai
piedi del fighetto di turno che le annebbia con quattro complimenti dolci in
croce, due sorrisetti, tre emoticon, come va tanto di moda oggi, un uscita per
un caffè o una pizza e poi, come sovente da prassi, senza manco conoscere in
profondità la persona, perse e fatte come i cachi, gliela danno, illudendosi d’aver
trovato il grande amore della loro vita.
Grulle.
Attenzione però, il problema
vero non è il Pull a Pig.
Il problema vero è soprattutto l’attuale società contemporanea che, a differenza del passato, offre infinite possibilità in infinite combinazioni per avere delle interazioni sociali, dove però, a differenza del tempo che fu, visto che ormai molto passa attraverso il filtro della rete, non avendo fin da subito un contatto diretto con la persona, si costruiscono più castelli in aria di come si faceva nel passato, cadendo facili prede di soggetti che per un motivo o per un altro, alla fine cercano , maschi e femmine, questo infoi mento generalizzato non fa distinzione di genere, trovano sesso “low cost”, perché anche il sesso stesso è un prodotto in che viene svenduto a prezzi di saldo di fine stagione, in quanto consumato non in modo diverso da come si consuma lo street food, il cibo di strada, chattando con la controparte, creandosi così un mondo di seghe mentali e amori illusori, frutto del mondo informatico, e poi queste illusioni, queste seghe mentali, come avviene da sempre, si trasferiscono in ogni caso nel mondo reale.
Il problema vero è soprattutto l’attuale società contemporanea che, a differenza del passato, offre infinite possibilità in infinite combinazioni per avere delle interazioni sociali, dove però, a differenza del tempo che fu, visto che ormai molto passa attraverso il filtro della rete, non avendo fin da subito un contatto diretto con la persona, si costruiscono più castelli in aria di come si faceva nel passato, cadendo facili prede di soggetti che per un motivo o per un altro, alla fine cercano , maschi e femmine, questo infoi mento generalizzato non fa distinzione di genere, trovano sesso “low cost”, perché anche il sesso stesso è un prodotto in che viene svenduto a prezzi di saldo di fine stagione, in quanto consumato non in modo diverso da come si consuma lo street food, il cibo di strada, chattando con la controparte, creandosi così un mondo di seghe mentali e amori illusori, frutto del mondo informatico, e poi queste illusioni, queste seghe mentali, come avviene da sempre, si trasferiscono in ogni caso nel mondo reale.
Il problema, lo si
ribadisce, non è il Pull a Pig in se, quello fa parte della naturalità del genere
umano, ma va condannato è che questi disgraziati
e mi riferisco ai maschi senza onore, invece di vantarsi come si faceva in passato
con gli amici in piazza, al bar, raccontando i loro sforzi per raggiungere l’obbiettivo,
vadano a pubblicare tutto ciò in rete o che si scambino commenti nei vari
gruppi di discussione, dove purtroppo, il delatore o la delatrice, l’infame, l’infiltrato
o l’infiltrata, come una pettegola dal parrucchiere, va a far uscire dal gruppo
ristretto le conversazioni, creando l’immagine falsata di maschi mostri
che se ne approfittano di donne,
maggiorenni, che, volendo passare per indifese, si professano vittime, a
comunque affamate e saziatesi di carne maschile, esteticamente attraente,
altrimenti si dubita che gliela avrebbero data, no?
È vero che vale sempre “l’arcaico”
detto femminista de: “L’utero è mio e lo gestisco io”, nulla da eccepire su
questo loro sacrosanto diritto di proprietà privata, donata da madre natura
alle donne bio, ma va ricordato a queste donne che la danno via con estrema
facilità, senza le necessarie accortezze, poi il rischio che si corre, in primis è
quello di essere etichettate come donne dai facili costumi, in quanto perché,
piaccia o no, la nostra società è ancora, nel bene o nel male, intessuta da un
forte maschilismo, ma se anche così non fosse, una donna che ha rispetto di se
stessa, non va a darla al primo gonzo che passa, dopo qualche chattata sullo
smarphone, arrabbiandosi poi se in un modo o in un altro, viene fottuta.
Rimarco una cosa però,
riferita al genere maschile, genere del quale immodestamente sento d’appartenere:
i maschi di oggi non hanno onore, non hanno dignità, non hanno rispetto,
lasciamo stare per quella che ti sei portata a letto, brutta e grassa come la
morte, nessuno ti ha puntato la pistola addosso e ti ha costretto a farlo. I
maschi di oggi non hanno rispetto per se stessi: ti sei fatto la scopata? Bene.
Hai aggiunto un’altra tacca incisa sull’uccello? Hai fatto bene. Ma almeno abbi
l’onore di tacere e di non fartene vanto, soprattutto lasciando tracce nei
messenger. Quindi, se devi reclamare, legittimamente, la tua vittoria: datti
appuntamento al bar, davanti ad una birra, attorniato solo da amici fidati e
racconta, se vuoi, le tue prodezze amatorie. Poi, se qualcun altro le mette in
rete, orbene, ha tradito la tua fiducia
e questo, per dimostrare che si ha senso dell’onore, andrebbe escluso
dal gruppo e bloccato nei social network, in quanto “bocca da puttana!”, come
si diceva anni fa dalle mie parti.
Poi, visto che la
scommessa con gli amici l’hai vinta, sarebbe da persone intelligenti uscirne
con signorilità, scaricandola non spiattellandole in faccia la verità, ma
raccontando le solite balle diplomatiche che si usano per scaricare una
persona. Tanto il maschio, in quei casi lì, davanti a se stesso e davanti agli
amici ha già vinto e non ha senso distruggere, umiliare e destrutturare la
sconfitta, quella è già stata punita a sufficienza da madre natura, no?
Nota dell’autore: il
rispetto va dato alle persone, sempre, soprattutto quando si è faccia a faccia,
alle loro spalle, in privato, quando queste non ci sono, ci sta ancora per ora la libertà
di dire ciò che si vuole e con il linguatggio che si vuole, indipendentemente dal
sesso biologico di appartenenza, se non si vuole beccarsi come minimo uno sputo
in faccia o una denuncia!
Foto dalla rete
Marco Bazzato
23.10.2017
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domenica 22 ottobre 2017
It
2017
Debbo dirlo, non mi è
piaciuto. Non mi è piaciuto per niente. Mi riferisco allo stupro l del
capolavoro letterario del Re del
brivido, Stephen King,
nella trasposizione cinematografica uscita lo scorso settembre in quasi tutto
il mondo e il 19 ottobre, come se fossimo un paese di ritardati, in Italia, It.
Ho visto il film due
volte, la prima a Sofia, in inglese, sottotitolato in bulgaro e la seconda,
proprio in questi giorni. Se prima ero titubante con la versione originale,
adducendo al mio inglese non perfetto, la seconda visione, invece di confutare
i miei dubbi, lì ha ulteriormente rafforzati.
Il film s’intitola It,
ma dell’omonimo romanzo
ci sta poco o nulla, a parte il simpaticissimo pagliaccio e i nomi dei
personaggi secondari e gli appartenenti al Club dei Perdenti, per il resto,
buio totale.
Certo, il film preso a
se stante è un film di livello medio, considerato anche il budget per delle
produzioni americane, 35 milioni di noccioline, ma è un horror come tanti, né
più e ne meno.
Sicuramente ha degli
spunti interessanti, la trama è strutturata abbastanza bene, ribadisco, se una
persona non ha letto il tomo del Re.
Ma se una persona,
metti una persona come me, che nel mio caso il libro se l’è pappato più di una
volta, anzi credo d’averlo letto nel corso degli anni, almeno quasi una
dozzina, allora no. Il film, a confronto del romanzo, toppa alla grande.
Sicuramente il regista ha fatto il possibile
per trasferire nella sceneggiatura almeno parzialmente l’atmosfera di crescita
e di amicizia dei protagonisti, ma poi tutto lì, riuscendo ad abbozzare solo la
cosa. A sua discolpa si potrebbe dire che trasferire le quasi cinquecento
pagine della prima parte, sarebbe un’impresa titanica per chiunque, soprattutto
se lo si vuole concentrare il tutto in due ore e dieci minuti, ma…
La Timeline è stata
stravolta, portando la prima parte nel 1988, anziché in quella letteraria del
1957-58, già qui, alla prima visione, ho dovuto andarmi a cercare l’apparato
riproduttivo dentro i calzoni. In quanto una era nel calzone destro e l’altra
nel sinistro, il butto, invece, mi è rimasto attaccato. E forse, scrivo forse,
questo potrebbe fin dall’inizio avermi innalzato le legittime barriere dei
pregiudizi, nei confronti del film, ma nutro dei seri dubbi al riguardo.
La psicologia dei
personaggi quasi secondari, ad esempio Richie Tozier e Mike Halon, totalmente
difformi rispetto al romanzo, tanto è che il povero Mike, fa quasi la parte
dello stereotipo afroamericano, figlio adottivo di un macellatore di pecore,
mentre invece nel romanzo è lui l’anima storica dei perdenti e non certo Ben
Hansom, che nel film passa per un vero sorcio – obeso – di biblioteca. Certo,
era un sorcio obeso da biblioteca, ma i suoi interessi non vertevano vesto la
storia di Derry, ma verso i romanzi, perché il vero storico del gruppo, che
aveva preso dal padre la passione, era Mike Halon.
È inutile dire che, a
mio avviso, già il solo spostamento temporale degli eventi, toglie molto
fascino al film, lo svuota, in quanto l’approfondimento che fece l’autore nella
società semirurale di Derry, portandola avanti di quasi trent’anni, toglie
magia, in quanto il tocco di quasi contemporaneità risulta artefatto e forzato,
mancando, per colpa di quel fottuto politicamente corretto che appesta il mondo
anche della finzione cinematografica, dell’antisemitismo narrato nei confronti
di Stan Huris, le battute scherzose nei suoi confronti da parte degli altri
perdenti e il razzismo nei confronti dei “negri”, “naturale” e legale nell’America
della fine degli anni ’50, così come il linguaggio omofobico, profuso a piene
mani dall’autore e messo in bocca agli antagonisti dei perdenti.
Una cosa che mi ha
lasciato interdetto è stato il linguaggio volgare dei Perdenti, per carità,
nulla contro i volgarismi, anzi,ma nell’opera originale, visto il bigottismo
americano dell’epoca, i bambini e non certo adolescenti come nel film, si
esprimevano quasi come educande dell’epoca vittoriana, mentre nell’adattamento
cinematografico sembravano tanti piccoli scaricatori di porto, sempre il “cazzo
in bocca”, metaforicamente parlando, chiaramente.
La scena di Beverly
sospesa nell’aria, beh, quella sospensione doveva appartenere ad Audra, la
moglie di Ben, nel romanzo. E via discorrendo. Senza contare che la scena dei
perdenti che saltano dalla cascata, mi ha fatto ricordare Stand
by me – ricordo di un’estate.
Tutti sputano addosso
alla miniserie del 1900 con un magistrale Pennywise, interpretato da Tim Curry,
ma sebbene la miniserie fosse un classico prodotto anni ’90, con una recitazione
indegna perfino per un cane abbandonato per strada, aveva il merito di essere
abbastanza fedele al romanzo, certo, con tutti i limiti di budget imposti per
le miniserie, ma almeno in linea di massima il romanzo è stato oggetto solo di
un tentativo, maldestro, di sodomia, mentre nel film di Muschietti, dal mio
modesto punto di vista, non solo la sodomia dell’opera è stata perpetrata più e
più volte, ma presumo come per molti amanti del romanzo, è stata dolorosa,
essendo stata commessa senza prendere alcun tipo di precauzione, a riguardo le
eventuali malattie a diffusione sessuale e peggio ancora, a “secco!”
In mezzo a questo
bailamme si possono salvare solo tre personaggi: Pennywise, Bill Skarsgård,
Henry Bowers – Nicholas Hamilton, e Beverly Marsh – Sophia Lillis e in minima
parte Ben Hanscom – Jeremy Ray. Gli altri, partendo da Bill, per giungere fino
a Rickie, Stan ed Eddy, voglio stendere un velo pietoso, banali caricature
malfatte e brutte fotocopie dei personaggi del romanzo, completamente senza
spessore.
Il Pennywise odierno
non può essere paragonato a quello del 1990, scenograficamente quello del 2017,
grazie all’aiuto degli effetti speciali, è più orrorifico ma quello di Curry è
entrato, proprio per la sua “naturalezza” e a modo suo, “umanità”, nell’immaginario
collettivo di più di una generazione, mentre il Pennywise del 2017, sebbene più
forte visivamente, difficilmente rimarrà a lungo nell’immaginario collettivo,
come il suo predecessore, in quanto avente sì una sua teatralità, ma questa è
una teatralità spinta e priva della “semplicità”
che aveva il Pennywise di Curry, passando come una meteora nell’immaginario collettivo, nel
volgere di qualche anno, proprio perché essendo dotato di eccessiva carica orrorifica,
ne risulta svuotato r poco incisivo nel
lungo periodo.
Ho trovato stupendo l’Henry
Bowers – Nicholas Hamilton di Muschietti, cattivo e bastardo dentro come deve
essere cattivo e bastardo. Il personaggio è stato caratterizzato molto bene,
senza sfumature od orpelli aggiunti, perché già la presenza stava a dimostrare
che era uno dei veri protagonisti in
secondo piano della storia. Il suo essere semplicemente malvagio, lo ha reso
umanamente adorabile e anche le se efferate le sue azioni, sotto alcuni punti
di vista, potevano non essere condivisibili, in quanto, pur non essendo un
appartenente al Club dei perdenti, il vero perdente era lui. E questo lo ha
reso amabile.
Beverly Marsh – Sophia
Lillis; un solo aggettivo: gnocca!
E vada a farsi fottere il sessismo e tutto il
resto.
La giovane Sophia ha
recitato con forte intensità, dimostrando una carica erotica, sensuale e
sessuale non indifferente.
Beverly Marsh infatti
rappresenta il prototipo di femmina ai primi pruriti sessuali e alle prime
mestruazioni. Una vera zoccoletta a cui sta sbocciando l’adolescenza, infoiata
per Bill, ma attratta da quel lardoso ciccione di Ben, e l’attrice ha saputo
dar vita a tutte le sfaccettature di quel periodo di transizione dall’essere
bambine al diventare biologicamente donne, ma ancora psicologicamente immature
e per questo prive di un timone e di una direzione definita, ma in continuo
divenire.
In conclusione, l’It di
Muschietti poteva oggettivamente essere fatto meglio?
Con il senno del poi, siamo tutti bravi a
giudicare il lavoro altrui, ma ad essere oggettivi, vista la complessità del
romanzo di King, non poteva fare molto di più, anzi, quello che ha fatto,
almeno nel rimaneggiare il testo, è stato anche troppo, visto che ha quasi totalmente disarticolato e
destrutturato l’opera, rimodellandola in una malaforma cinematografica,
trasformandola in un cibo in alcune sequenze commestibili e digeribili e
moderatamente gustabili, in altri punti, vomitando una sbobba di vomito e bolo,
rigurgitando un film che si è allontanato troppo e male, dal magnifico ordito
originale.
E questo, in tutta
onestà, dispiace!
Marco Bazzato
22.10.2017
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venerdì 13 ottobre 2017
I comunisti catalani indi pentisti!
Giuro, quando l’ho
sentito in tv, non ci volevo credere.
I comunisti catalani che, come i peggiori
leghisti della Lega Nord del celourismo di bossiniana memoria, sono tra i
grandi fiancheggiatori dell’indipendenza della Catalogna.
Francamente il mondo è
invertito e la politica si è pervertita, come se non lo fosse mai stata, vero?
Figuriamoci gli imbarazzi della sinistra
italiana, quella post comunista, quelli del Pd, per intenderci o quei quattro
gatti spelacchiati dei comunisti di casa nostra, oggi in che razza di imbarazzi
ideologici si trovano, costretti ad arrampicarsi sopra gli specchi, o a
camminare sullo sterco, illudendosi di non inzaccherarsi le “zampe”, per giustificare i compagni rossi catarogni.
Già, perché il
ginepraio che sta avvenendo in Spagna e nella regione indipendentista ribelle
all’oppressore spagnolo, dove con l’indipendenza proclamata ma poi sospesa, ha messo la Catalogna in un limbo giuridico
controverso da dipanare, anche per le cancellerie europee.
Non dimentichiamoci che
dopo la caduta del muro di Berlino, la Germania è stata una delle artefici
della dissoluzione dell’ex Jugoslavia, che porterà alla guerra nei Balcani, ma
adesso quell’Europa a favore della dissoluzione di altri Stati sovrani, per
indebolirli, per interessi strategici ed economici, si rifiuta di riconoscere
l’indipendenza della Catalogna.
Ancora due pesi e due
misure, a seconda della convenienza di comodo del momento. Perché è risaputo
che la politica non ha amici, ma ha solo interessi da difendere, sempre i
propri, a svantaggio degli altri. In termini prettamente dell’uomo comune, si
può affermare che la politica è la più alta forma di razzismo assoluto, anche
quando fanno gli antirazzisti, per convenienza o per ideologia.
Però, tornando al
discorso dei comunisti catalani, mi rammarica solo che non ci sia ancora, per
le note vicende giudiziarie che hanno infangato tutta la Lega, il vecchio leone
fondatore del partito, Umberto Bossi, a stringere la mano ai suoi acerrimi
nemici mangiabambini di comunisti catalani.
Sarebbe come vedere i
due terni antagonisti, Dio e Satana, stringersi la mano e andare a banchettare
a Cana, nell’osteria di Gesmas, il ladrone impertinente, con Gesù testimone e garzone
all’evento, che per allietare gli ospiti tramutava l’acqua in vino.
Bando alle battute
fantateologiche. Quella dell’ indipendenza della Catalogna è più una gatta da
pelare, ma è divenuta una gatta affetta da alopecia, già pelata come il culo di
un macaco, esposto al sole del giungla, in quando è difficile pronosticare come
andrà a finire, se in un bagno di sangue tra fratelli o se finirà a paella e sangria, facendosi
incornare per la gioia di quelli avvolto degli osservatori indipendenti –
finanziari – durante la giostra di San
Firmino, a Pampolna, quando sarà il momento.
È difficile per tutti
gli analisti degli scacchieri geopolitici e finanziari, capire come andrà a
finire, in quanto le variabili sono tante, forse troppe. Sta di fatto che alle
spalle ci sta un referendum, a mio avviso moralmente legittimo, ma dichiarato
illegale dalla Corte Costituzionale spagnola, dove però solo il 68% della
popolazione catalana, manco si è recata alle urne, mentre il 90% di quel 42% di
chi si è recato, a votato a favore dell’indipendenza.
Possiamo allora dire
che dietro a questa sovversione dell’ordine costituito, ci sta come è già
accaduto nel corso della storia l’ideologia
comunista?
La cosa bizzarra e
imbarazzante è che se Veneto e Lombardia faranno due referendum per richiedere
maggiore autonomia dall’oppressione fiscale del governo trinciapalle centrale
di Roma, quelli, per i detrattori, sono dei populisti buzzurri ignoranti,
razzisti che parlano alla pancia del paese.
Mentre se sono i rossi,
come il sangue innocente che hanno sparso per quasi un secolo in mezzo mondo,
che alzano ancora di più l’asticella delle libertà, ecco i termini populistici
e razzisti spariscono, non parlano alla pancia del Paese, ma diventano ideali
supremi e superiori di libertà, elaborati da fini intellettuali, dotati di una
favella superiore, da imbonitori televisivi, non diversi da quella bravissima
donna di Wanna Marchi.
Come sempre ci sta una distonia pazzesca e
manipolativa che rasenta il disumano, nel modo di presentare le notizie al
popolo bove in modo da tirarlo per la giacchetta, ma in pratica facendogli
tirare l’aratro da una parte o dall’altra, a seconda delle gli interessi
politici in gioco.
A mio avviso in ogni
caso la Catalogna ha sbagliato, non tanto perché dietro ci sta un partito
comunista, ma perché un’indipendenza non riconosciuta dalla comunità
internazionale, sarebbe come un dolce messo in forno senza averci messo il
lievito. Manco si sgonfierebbe e sarebbe non solo inguardabile, ma
immangiabile. Senza contare che in ogni caso la regione catalana, non avendo
l’appoggio internazionale, e forse a questo che mirano sotto sotto, andrebbe
incontro ad un rapido decadimento economico e finanziario, vedendo aumentare la
disoccupazione e le diseguaglianze sociali, come se non ce ne fossero
abbastanza, e poi, quando, come è accaduto, ma per motivazioni differenti in
Grecia, sarebbe facile preda degli speculatori economici e finanziari, che
potrebbero acquistare i gioielli della Corona, come si usa dire, a prezzi da
fungo radioattivo, dopo una guerra nucleare
.
A ben vedere, un
ritorno al tempo dei Comuni olle città Stato o, la cosa ideale sarebbe un
ritorno delle macroregioni federate e indipendenti dai governi nazionali, con
la supervisione di un’Unione Europea dei popoli e non della finanza, potrebbe essere
la cosa migliore per il Vecchio Continente, avendo avuto cura di bonificarlo,
derattizzarlo da tutti gli estremismi di centrosinistra, vere palle al piede
dell’evoluzione della specie, non solo quella umana, ma dell’intero regno animale,
in tutto il globo terraqueo, all’interno del Sistema Solare, all’interno della
zona abitabile della Via Latte e in tutto l’Universo.
Marco Bazzato
13.10.2017
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giovedì 12 ottobre 2017
Jus Soli: le motivazioni per il no
Questa mattina mi sono
guardato la famigerata proposta di legge sullo Jus Soli,per
consegnare in mano a dei minori stranieri, previa richiesta di uno dei due
genitori, l’altro, a differenza degli Stati Uniti, che se irregolare viene
rimpatriato, in possesso di un permesso soggiorno, al compimento del dodicesimo
anno d’età, il genitore in regola può fare richiesta di naturalizzazione del
discendente, a patto che questi abbia compiuto un ciclo di studi di almeno
cinque, jus culturae.
Come se cinque anni di
scuola fossero sufficienti per plasmare una persona alla cultura e alla
mentalità italiana.
Stiamo scherzando,
vero?
I cinque anni di Jus Culturee sono pochi, perché non va
dimenticato il retaggio culturale in cui cresce il minore, ossia la famiglia,
soprattutto se entrambi i genitori sono stranieri e quindi, come si sa, spesso
quando arrivano alla prima elementare, manco sanno parlare uno straccio di
lingua italiana e gli insegnanti sono costretti a rallentare i programmi
scolastici, a discapito degli indigeni italiani, degli autoctoni, che avendo i
genitori nativi, a parte il fatto del dialetto in alcuni casi, o degli zucconi
patologici, sono poco o tanto intessuti di lingua e cultura italiana e la
riprova di quanto affermo è che spesso dove ci stanno le famigerate classe multietniche
– dove giustamente, a mio avviso, i
genitori indigeni, spostano i figli, per timore che l’apprendimento ne
risulti rallentato – tanto care
alle sinistra, che vuole diluire e
annacquare l’italianità, perché più si annacqua il sangue e la cultura di un
popolo, seguendo il moto latino divide et
impera, tanto più facile, nel breve
e medio periodo, sarà fottere quel popolo, in quanto privo di radici
storico-culturali comuni, molti genitori indigeni, con discendenza italiana
indigena da generazioni, per tutelare i loro figli, fanno il possibile, cosa
ahimè non sempre fattibile, per farli andare a scuola con i loro connazionali,
figli e discendenti del Jus
Sanguies.
Jus
Sanguies che anche gli stranieri naturalizzati potranno
trasmettere ai loro figli, senza alcun problema. Come già avviene adesso, senza
che nessuno se ne abbia mai avuto da lamentare, nascendo così indigeni italiani
de facto.
Dico no a questa legge
perché andrebbe ad anticipare di sei anni un processo che già avviene con la
legge vigente, quando lo straniero, al compimento del diciottesimo anno di
età, può farne richiesta, ma l’accoglimento, non è automatico, essendoci dei
filtri che ne potrebbero impedire l’ottenimento.
Se ci si riflette bene
è più corretto che sia un maggiorenne, da straniero nato in Italia, a farne
richiesta, perché, nel caso avesse dei carichi pendenti, oppure avesse già subito delle misure di custodia cautelare, o
altro, questo potrebbe essere un motivo di legittimo impedimento alla
naturalizzazione. Mentre naturalizzare un dodicenne, quando questi a causa
della minore età, non essendo perseguibile per legge, potrebbe accadere, una
volta cresciuto, avendo ottenuto in
tempi immaturi la cittadinanza italiana, non possa essere espulso, o rimpatriato – cosa
che già accade assai raramente, nel
Paese di origine del genitore, residente in Italia, anche con regolare permesso
di soggiorno.
Certo, sto parlando di
casi estremi, e questo non sta a significare che questi siano la regola, per fortuna, anzi, statisticamente
parlando, è l’esatto opposto, ma è un po’ come i vaccini obbligatori o la
vaccinazione antinfluenzale, come asseriva una nota pubblicità: Prevenire è
meglio che curare.
Va detto che la propaganda
di sinistra da più di due anni sta alzando la cortina fumogena delle menzogne e
della disinformazione, contro i nativi da generazioni in Italia, spacciando
fake a rotta di collo, asserendo che un minore straniero è già un italiano
fatto e finito, soprattutto se ha compiuto un ciclo in Italia, come se ciò
fosse un assioma, un postulato matematico.
Ma crediamo veramente a
queste bugie politiche?
A dodici anni i ragazzi
e le ragazze sono frutti acerbi, incapacitati ad analizzare la complessità
della realtà e avere la presunzione che cinque anni di scuola possano creare
degli italiani fatti e finiti, integrati e/o assimilati, vedetela come meglio
credete, oppure, con il nuovo termine che va tanto in voga oggi, inclusi , non
solo è una visone ideologica, ma anche utopica e come la storia insegna, ogni
visione utopica o ideologica, genera pesanti ricadute nella realtà e nel mondo
reale, dagli esiti spesso nefasti. Basta ricordarsi quanto è accaduto in Belgio
e in Francia con gli attentati terroristici, in quanto gli attentatori, sebbene
naturalizzati, erano di origine straniera, segno evidente che nei casi più
estremi, l’integrazione o l’assimilazione non è avvenuta e cerchiamo di non
dare la colpa allo Stato o alla società che non ha saputo integrali. Spesso
taluni soggetti che non sono minimamente interessati ad integrasi e quindi chi
può escludere che ciò non possa accadere anche in Italia?
Molti potrebbero
addurre che i miei siano pretesti politici, razzistici o altro; mentre la
realtà è più semplice, visto che vivendo da anni all’estero, so quanto sia
difficile integrarsi, assimilarsi e lasciarsi assimilare da una cultura non propria, certo, ci sono
giunto ad un età non più di primo pelo, non vetusta, ma che era quasi “Nel bel mezzo del cammin di nostra vita….”,
quindi è giocoforza che il processo sia stato più lento, ma questa lentezza
ha l’aspetto positivo che non è mai stata in alcun modo forzata, ma introitata
giorno per giorno.
Come molti sapranno
vivo in Bulgaria, l’integrazione è, sperimentata sulla mia pelle, è un processo
lungo, che non si apprende né in un anno e nemmeno in cinque e forse manco in
una vita. Certo, personalmente, con tutte le difficoltà che si possono incontrare
ogni giorno, mi sento abbastanza integrato in quello che in passato per me non
era il mio tessuto sociale e che ora, almeno in parte, lo sento parte di me,
senza però tradire la mia italianità.
Già, senza mai tradire
le proprie origini.
E certo sappiamo tutti
quanto siamo “sboroni”,
soprattutto nei servizi giornalistici di cultura, quando si tratta di italiani
all’estero che portano la cultura italiana, facciamo la ruota come i pavoni, in
netto contrasto con quello che però quotidianamente è la realtà dei fatti.
Il punto è proprio
questo: le proprie origini.
Siamo quello che
siamo,in base alle origini e le stratificazioni culturali del nostro Paese di
provenienza, certo, possiamo ampliare la nostra cultura, possiamo ampliare la
nostra conoscenza della lingua, apprendendo altre lingue, vivendo in culture
diverse da quella materna, non me ne vogliano i cultori del politicamente
corrotto in quanto con il termine cultura materna, non ho incluso gli
omosessuali che affittano l’utero di una donna per avere un figlio, ma a me il
termine cultura materna, con tutto il rispetto per mio padre, piace molto.
E lo stesso vale, che
ci piaccia o no, anche per gli stranieri nati in Italia.
Certo per loro il
processo di dissoluzione della cultura materna potrebbe essere, forse, teoricamente
più breve, ma quel seme istillato dalla nascita, quelle prime parole
pronunciate dai loro genitori nella loro lingua, saranno l’imprinting,
quelle prime nozioni culturali, apprese all’interno di un consesso straniero,
perché, non nascondiamoci dietro una foglia di fico, negando, oppure fingendo
che così non sia, tutti coloro che vivono all’estero, io
compreso, mantengono i contatti con la madrepatria, non solo grazie alla rete,
a internet, agli smatphone, ma a livello informativo e ludico, grazie alle parabole
per la ricezione dei canali satellitari dei Paesi di provenienza, possono
essere, dentro la loro abitazione, come in una specie di “Bolla Extraterritoriale”, ancora in patria.
Io stesso, qui in
Bulgaria, guardo principalmente la tv italiana, ma se lo fa un italiano
all’estero, quello è positivo perché continua a essere informato su quanto
avviene nel suo Paese Natale. Ma poi, la
politica fa la struzza, negando che gli stessi cittadini stranieri, con figli
nati in Italia, non facciano crescere i loro figli, almeno la maggioranza,
nella stessa “Bolla extraterritoriale” in Italia, perché come fa un italiano
all’estero, vogliono mantenere, per quanto possibile, il contatto con le loro
radici.
Infatti i bambini
stranieri nati in Italia, piaccia o no, passano la maggior parte del loro tempo
all’interno di questa “bolla extraterritoriale”, in stretto contatto, linguisticamente
e culturalmente con la terra d’origine dei loro genitori, oppure se sono figli
di famiglie miste, la cosa risulta ancora più stressante, in quanto si sentono
figli di due culture differenti, ma alla fine di nessuna, che lì fa sentire come piante senza radici, confuse e a
volte anche socialmente disadattate. E posso assicurarvi che questi discorsi ne
ho uditi tantissimi nel corso degli anni, grazie ai miei contatti, non solo in
Italia, ma anche in Bulgaria e Germania.
E anche alla luce di
tutto ciò che francamente sono assurde quelle mense scolastiche che offrono
piatti multietnici, così i bambini italiani sanno come si alimentano i bambini
stranieri, preparando i cosiddetti piatti etnici, tramite nuove esperienze
gastronomiche, che faciliterebbero la loro integrazione e/o assimilazione,come
gesto di accoglienza e fraternizzazione, dimenticando che i bambini a casa
loro,all’interno della “Bolla Extraterritoriale” quei piatti li mangiano
quotidianamente, in quanto non è che i genitori appena arrivano in Italia,
immediatamente si mettano a mangiare
all’italiana, ma continuano a consumare i pasti e le cene, secondo i loro usi e
costumi.
Oltretutto, se diciamo
sempre che la cucina italiana è la migliore al mondo, per cosa dobbiamo “imbarbarirci”
più del necessario, facendo mangiare ai bambini indigeni piatti di cucine che
noi stessi, reputiamo inferiori ai nostri, sia a livello di gusto e di
genuinità? E quindi per essere multiculturali, facciamo mangiare male i bambini
indigeni italiani e non educhiamo quelli stranieri alla buona tavola? Siamo in contraddizione
con la nostra stressa propaganda gastronomica, no?
Esattamente come faccio, qui, nella mia “Bolla
Extraterritoriale. Tanto è vero che quando vado a mangiare in casa d’altri,
mangio i piatti bulgari che mi piacciono e declino, gentilmente, quelli che non
sono di mio gradimento. Ma non per questo mi sento vittima di razzismo o di
discriminazione, anzi, come invece la propaganda politica e buonista fa vedere
in Italia, che se non ci si adegua in casa propria alle culture altrui si è dei
razzisti o si vuole emarginare qualcuno.
Attenzione però, con
tutto il discorso precedente non voglio affermare che un minore straniero,
anche se nato in Italia, debba sentirsi isolato o respinto o non accettato
nella cultura dove nasce e cresce, ma tengo a precisare che un conto è il piano
legale, legato al Jus Soli e un altro, più importante del precedente, è il
piano umano e di assimilazione sociale e culturale. È risaputo che la vera
integrazione non passi attraverso un passaporto dato anzitempo, messo nelle
tasche di un dodicenne, ma la vera integrazione o assimilazione, nasce
all’interno dei rapporti sociali, dei rapporti umani,interpersonali, nella capacità di tutti non far sentire l’altro un diverso. E tutto ciò
vale per l’italiano nei confronti dello straniero nato in Italia, così come per
lo straniero appena giunto in Italia e naturalmente viceversa,
indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione professata o altro.
Sorpassare legalmente
questo lento processo di elaborazione per legge non aiuta l’integrazione,
soprattutto dei minori, ma fa a costoro bruciare le tappe, un po’ come vedere i
loro genitori fare sesso, spiandoli attraverso il buco della serratura.
Purtroppo la politica
di sinistra e sfortunatamente questo modo insulso di ragionare, sta appestando
anche alcuni settori del centrodestra, dove con distinguo più o meno sfumati,
cercano, perché a caccia di voti, di far passare questo bruciare le tappe, come
un qualcosa di utile per i minori stranieri nati in Italia, ma la realtà dei
fatti, rispetto alle folli logiche ideologiche della politica, è ben diversa e
dove l’apoteosi dell’ipocrisia di una classe politica da strapazzo, la
raggiunge quando dichiarano di fare lo sciopero della fame, a favore di questo
scellerato disegno di legge.
Invece di fare lo
sciopero della fame a livello simbolico, magari solo al sabato, dovrebbero
essere costretti a cibarsi di pane ammuffito e acqua contaminata di sostanze
chimiche tossico-nocive per qualche mese, mettendosi veramente per un certo
periodo a vivere nel mondo reale, evitando i voli pindarici, perché coloro che
hanno cercato di edificare la Civiltà dell’Utopia, sono miseramente caduti a
terra, inzuppando il terreno di cadaveri, lasciando dietro si se, solo morte,
desolazione e devastazione.
Marco Bazzato
12.10.2017
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martedì 10 ottobre 2017
Fascismo e antifascismo: due facce della stessa medaglia socialista
La
storia è sempre scritta dai vincitori, ma i vincitori non hanno mai il monopolio della verità!
Marco
Bazzato
A sentirne parlare, non
se ne può francamente più. La cosa ormai fa venir la nausea, solo al pensiero.
Sto parlando dell’antifascismo 2.0. Ossia gli antifascisti nati dopo la fine
degli anni ’60, coloro che quel periodo manco l’anno vissuto e se ci hanno
capito qualcosa, forse, gli è stato tramandato dai genitori o dai soliti e
banali ripetitivi documentari che quasi
settimanalmente si possono vedere su Rai Storia o su reti minori, come ad
esempio Focus, dove negli ultimi mesi, raschia il fondo del barile, rimestando
una minestra riscaldata, non rendendosi conto che le nuove generazioni se ne
fottono di ciò che è avvenuto prima della loro nascita e che sono costrette, da
programmi scolastici che rasentano il lavaggio del cervello, ad introitare
nozioni di storia quasi contemporanea, per poterle magari ripetere come farsi
fatte, innanzi al docente di sinistra, magari laureatosi negli anni della con
stazione studentesca, dal ’68 in poi, che ha sfornato una futura classe di
docenti fortemente ideologizzati a sinistra, dove per miopia storica e
culturale, hanno sempre omesso i crimini perpetrati in Italia dagli
antifascisti, dai comunisti, giustificandoli come necessari, per la nuova
democrazia nascente nel dopoguerra.
Chiariamoci, il
ventesimo secolo è stato un secolo di barbarie globali, che hanno investito sia
l’Europa Occidentale, con il nazifascismo, così come l’Europa orientale con il
Comunismo, anche se molti teorici di questa ideologia, asseriscono, per
lavarsene le mani, che indipendentemente da tutto, quelli non erano veri
comunisti, ma falsi, in quanto non avevano compreso appieno i dettami marxisti
o che se li avevano compresi, erano stati applicati in modo barbarico, oppure
se ne lavano la coscienza, asserendo che quelli non erano veri comunisti, ma
fascisti, nascosti sotto il paravanto della falce e martello.
A me, personalmente che
siano veri comunisti o fascisti nascosti dietro la falce o martello o compagni
che non hanno saputo applicare in pratica le teorie marxiste e leniniste, non
me ne può importare assolutamente nulla, anzi.
Sta di fatto che se nei
proclami del nazismo ci stava la superiorità della razza ariana e in quelli del
fascismo, le infamie delle leggi razziali, emanate da Mussolini, il comunismo,
pur non avendo questi dettami scritti, lì ha applicati sistematicamente, per
reprimere i nemici di quel regime sanguinario, o le stesse minoranze etniche,
vedi l’Ucraina
Staliniana e dittatoriale. Purtroppo gli antifascisti più radical
chic, ignorano, quando si parla di
comunismo, i crimini commessi in Indocina,
o quelli commessi nella stessa Cina dallo stesso Mao e dalla banda dei
quattro, dopo la presa del potere.
Il punto essenziale è
che noi europei, abbiamo nel ventunesimo secolo, una cultura storica e una visione
del mondo, sistematicamente orba verso oriente, verso Est e questa cecità,
figlia anche di ciò che fu la guerra fredda, terminata ufficialmente con la
caduta del Muro di Berlino e con il Crollo dell’Unione Sovietica, per ragioni apparentemente
sconosciute, continua ancor’oggi, anzi, a livello di comprensione ideologica della
storia, per assurdo, è più radicata nella stragrande maggioranza della massa
amorfa, rispetto che ad una ventina di anni fa. Già, perché, quando in Italia ci stava un sedicente P.C.I.
che prendeva fondi neri da Mosca, il Dossier Mitrokin
è chiarissimo su questo, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si assistito ad
una graduale diluzione dentro le acque reflue della storia, dei crimini
commessi dal comunismo. Fino a quando ci stavano i due blocchi contrapposti,
quello atlantico sputtanava quello sovietico e viceversa, dove se si aveva la
possibilità di scremare le informazioni vere dalle fake, si poteva essere
abbastanza oggettivi, a riguardo le due fazioni contrapposte che dividevano l’Europa
in due.
Con la caduta delle
ideologie, soprattutto negli ultimi dieci anni, quando tutto si è fuso e
confuso, è accaduto che è rimasto immobile il fronte antifascista, quelli che
vorrebbero condannare, senza appello il fascismo, dove certo non sarò io ad
assolverlo, ma contemporaneamente si è assistito ad un opera di rimozione
storica, da parte della coscienza collettiva, dei crimini perpetrati mezzo
mondo dalla rivoluzione russa dell’ottobre del 1917, fino ai giorni d’oggi,
dove l’ultimo baluardo di questa subcultura politica che ha insanguinato quasi
tutto il ventesimo secolo, è quella macchietta spelacchiata e cicciona del dittatore
comunista della Corea del Nord.
Chiaramente coloro che
oggi si credono dei veri comunisti, alzeranno gli scudi e le barricate, andando
a strepitarmi contro che quello, come tutti gli altri dittatori, da Lenin, a
Stalin, passando per Antropov e Breznief, nemmeno loro erano veri comunisti. E
anche se fossero stati dei compagni che hanno sbagliato, sono stati errori in
buonafede, oppure orrori giustificati dalla necessità di combattere gli spiriti
liberali e libertari e che quindi quelle morti di massa, quelle fucilazioni,
quelle detenzioni nei gulag, erano necessarie.
Per far vincere chi?
I comunisti, no?
No, perché anche se
erano rossi come il sangue, non erano veri comunisti, ma dittatori di estrema
destra, mascherati da imbecilli di sinistra, a questo punto. E se erano
dittatori di estrema destra, mascherati da imbecilli di sinistra, perché i
comunisti di oggi, coloro che si schierano contro tutti gli antifascismi, veri
o presunti, non hanno il coraggio di condannare quella parte oscura e
sanguinaria della loro storia? O se lo fanno, lo fanno con estrema difficoltà,
come se fossero affetti da stitichezza cronica o peggio ancora, se oltre ad
essere stitici, soffrissero di emorroidi
e campi muscolari all’ugola,
È la solita ipocrisia
dei sinistri di sinistra, i quali parlano non solo avendo due travi infilate
negli occhi, ma avendone una addirittura infilata nel retto, eppure sbraitano a
più non posso contro qualche immagine del Duce o con qualche nostalgico, che
come i comunisti, interpreta a questo punto la storia del ventennio fascista,
allo stesso modo di come fanno i comunisti, quando negando, interpretano o
giustificano i più di settant’anni di comunismo. Già, perché non dimentichiamo
che anche la Cina di oggi, è ancora una Cina fondamentalmente comunista, sia
nel partito, così come nell’ideologia, anche se è un comunismo di mercato, ma
al potere ci stanno ancora loro, i discendenti di quelli che hanno nella loro
storia recente, cinque
milioni di morti, grazie al famigerato Libretto
Rosso di Mao!
Il punto focale, a mio
avviso, però è che tutto il ventesimo secolo, non solo in Europa, era pervaso
da grandi cambiamenti sociali ed economici, causati dalle disuguaglianze sempre
più profonde e questi cambiamenti hanno portato alla nascita di due ideologie totalitarie
uguali, antagoniste, ma sostanzialmente identiche nella sostanza.
Infatti non dobbiamo
dimenticare che tutto nasce dal socialismo, il quale poi, come ogni malapianta
che si rispetti, ha generato dei rami, e questi rami alla fine producevano alle
loro estremità frutti avariati, figli però della stessa malapianta, questi
frutti, gemelli divisi ancor prima della nascita, erano il comunismo in Russia
che poi, come un virus pandemico è attecchito nell’Europa Orientale, in Cina,
in Indocina e a Cuba e il nazionalsocialismo in Germania e il fascismo in
Italia. Gi, perché non va dimenticato che prima di fondare il partito fascista,
Mussolini era un socialista, è stato, tra le altre cose, il direttore del
quotano socialista l’Avanti, quindi, non è azzardato teorizzare che Mussolini
in realtà non sia mai stato un vero fascista, ma rivoltando la frittata come
sovente fanno i comunisti, un socialista travestito da fascista, quindi, se
dobbiamo andare a vedere le sue origini, perché prima o poi le origini anche di
una persona o di una cultura, prendono il sopravvento, Benito Mussolini in
effetti era un uomo di sinistra, mascherato da uomo di destra, che ha usato, in
quel particolare contesto storico, la forza dei ragionamenti ideologici di
destra, per imporre in ogni caso il suo vero retaggio culturale: ossia quello
di un socialista fortemente orientato di un socialista di sinistra.
È logico quindi poter
anche affermare che i due figli della stessa malapianta socialista, hanno
raggiunto i loro obbiettivi, la conquista del potere, prendendo strade
completamente differenti, ma che entrambe hanno portato all’ennesimo
obbiettivo: istaurare, dove si sono insediati, un regime di terrore.
Mi rimane in testa l’ultima
domanda provocatoria: si può dunque affermare che l’esecuzione di Benito
Mussolini e della Claretta petacci e poi l’essere appesi a testa in giù a Piazzale Loreto, a Milano,
è stato un regolamento di conti interno al socialismo? E quindi se così fosse,
chi erano i veri Caini e chi erano veri Abeli a Piazzale Loreto?
Nota dell’autore: ho
messo solo link di sinistra, altrimenti qualche stolto potrebbe accusarmi di
faziosità ideologica. Perché quelli di sinistra, dicono loro, non sono mai
fazioso, quindi allora mi sono adeguato al loro modo di essere mellifuo.
Marco Bazzato
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