giovedì 30 luglio 2009

I coristi gay trovano posto in parrocchia

Troppo speso le associazioni omofile, pardon omosessuali, sbraitano ai quattro venti che la società è omofoba. Ma un coro composto di gay non è un bell’esempio di integrazione tanto voluta dai gay nel mondo reale.

«Sai cantare?»

«No, ma sono gay!»

«Perfetto, sei dei nostri. E tu sei omosessuale?»

«Si, anche lui che è il mio compagno vuole cantare, possiamo?»

«Certo, siete i benvenuti. Tu invece?»

«Ho fatto corsi di canto, e ho fatto vari provini. Dicono che abbia una bella voce…

«Sei etero?»

«Sì, sono sposato da tre anni e con mia moglie abbiamo due figli».

Il selezionatore avrà guardato quest’ultimo come un appestato e poi indicando l’uscita, forse gli avrà gridato: «Vattene, questo è un coro per gay. Non importa saper cantare, quello che conta è essere omosessuale. Tu dici di saper cantare, ma sei sposato con una donna ed hai famiglia. Tra noi non sei gradito….Fuori!»

Forse la selezione del coro gay non sarà andata proprio così, forse questo coro ha veramente delle ottime qualità canore, forse, forse, forse… O sicuramente non sarà andata così, ma…

Sta di fatto che non si era mia sentito di un coro nato, non sotto la spinta delle qualità canore dei coristi, per l’orientamento del contorsionismo a letto di matrice omosessuale.

Ma questo potrebbe anche passare, lasciando indifferenti la città della fondazione del gruppo coristico, Il Paese, l’Europa, pianta Terra, il sistema solare, la Via Lattea – la nostra galassia – e l’universo, ma oltre al danno per la discriminazione degli etero da parte dei gay si è aggiunta la beffa di un
prete bolognese, un po’ avanti con gli anni, che evidentemente non era a conoscenza di ciò che le associazioni gay e/o i singoli omosessuali lanciano contro la chiesa e le organizzazioni ecclesiastiche ed il vaticano stesso.

Forse questo prete, avendo la chiesa mezza vuota, ha cercato il colpo ad effetto per far parlare di se, o forse pur essendo votato al più puro disinteresse non si è letto bene il Vecchio Testamento, con al fine di Sodoma e Gomorra e il Nuovo Testamento, dove gli omosessuali non sono citati in nessun versetto del Vangelo, questo a significare che non fanno parte del progetto Divino di salvezza.

Follie di una notte di mezza estate? Sembrerebbe di no. L’anziano prevosto non è nuovo a iniziative intemperanti ed eclatanti. Aveva infatti organizzato una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia. Praticamente un prete progressista che avrà fatto storcere la bocca a molti.

Per fortuna ora sembrerebbe che la
Curia sia intenzionata a intervenire per bloccare l’iniziativa, anche se il sacerdote sembrerebbe interessato ad alzare le barricate e il livello dello scontro con le gerarchie ecclesiastiche portando avanti la sua – infausta secondo il Vaticano – iniziativa.

È vero, come dice il parroco, “che cantare è un
dono di Dio”, ma letta sotto l’ottica omosessuale sembrerebbe che questo dono, nella fattispecie del coro gay appartenesse solo a quest’ultimi in quanto non è presente nessun etero.

Il problema sta proprio nella formazione del coro, non nel coro in se stesso, visto che in molti, se si comportassero come i gay, potrebbero vedere in questo coro l’aggravante della discriminazione per l’orientamento sessuale, nei confronti degli etero.

Proviamo a immaginarci cosa sarebbe avvenuto se si fosse sparsa la voce che si cercavano coristi esclusivamente etero, e che la presenza di uno o più gay non fosse stata ben accetta?

Si sarebbe scatenato il pandemonio. Articoli nei giornali, interrogazioni parlamentari, servizi televisivi, omosessuali infuriati per l’ennesima discriminazione – vera o presunta – subita, polemiche a non finire, l’Arci Gay avrebbe scatenato l’armamentario ideologico, perché se un gay discrimina l’etero è normale, ma se è l’etero a discriminare il gay ecco che scatta la repressione, l’attacco, il grido di dolore e l’urlo di battaglia contro l’omofobia dilagante, contro la segregazione, contro la non integrazione e via discorrendo…

Ma quando si tratta di eterofobia?

Silenzio, tutti zitti come pecore, tutti proni ad accettare la discriminazione, la ghettizzazione, in nome della libertà e del diritto omosex. Belle facce toste.

Sono poche le volte che lo scrivente si trova d’accordo con le gerarchie vaticane, ma questa volta non per salvare una chiesa che non rappresenta i fedeli, ma per combattere una palese discriminazione del coro gay nei confronti degli eterosessuali, mi ritrovo nelle posizioni intransigenti della curia bolognese. E anche la politica dovrebbe fare la sua parte imponendo al coro d’aprirsi agli eterosessuali, proprio per fugare ogni dubbio sulla volontà di selezione dei membri in base all’orientamento sessuale. Da quando essere etero preclude la possibilità di cantare in un coro?

Questa sembrerebbe una di quelle volte, e questo la dice lunga sulla presunta tolleranza dei gay nei confronti degli etero, nonostante sia propenso a pensare che sia un caso isolato. Si spera.

L’auspicio è che la Curia intervenga per condurre il sacerdote, il pastore rivoluzionario a miti consigli, oppure che sia invitato, vista l’età non certo acerba ad andare in pensione.

Comunque l’unico aspetto positivo è che almeno non cantano musica sacra, ma solo profana.

Marco Bazzato
30.07.2009
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mercoledì 29 luglio 2009

Non abbandonate i cani prima delle ferie, sistemali prima!



«Nonno, mi racconti una storia?» domandò il nipote seduto davanti al fuoco.
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Il nonno mise un altro ceppo e la fiamma si ravvivò. Fece un sospiro, fissò il ragazzino avvolto nelle pelli d’animale. Nonostante il calore della fiamma, la piccola capanna non riusciva a riscaldarsi. Quell’inverno era uno dei più freddi che il vecchio ricordasse. E di primavere ne aveva viste più di sessanta, ormai.

«Non è una storia ambientata nel passato, ma sono le previsioni degli anziani del villaggio, quelli con molti più anni di me, che riescono a vedere oltre le nebbie del futuro. E sarà un futuro, secondo loro terribile per gli uomini.

«Perché nonno?»

«Perché diranno che quelle bestiacce che abbaiano, quelle bestiacce che si aggirano attorno alle nostre capanne in cerca di cibo diventeranno i nostri amici…»

«Nostri amici?»

«Sì. Dicono nostri amici, ma io spero che ciò non avvenga mai, sarebbe la fine del mondo che noi conosciamo…la fine…»

E il vecchio iniziò a raccontare…

In un futuro lontano lontano il mondo sarà diverso. Gli uomini non vivranno i capanne fatte di canne, ma in case fatte di sabbia acqua ,mescolata ad una cosa che nessuno sa cosa sia, chiamata cementum. Avranno il calore in casa, ma senza usare fuco e legna. Cuoceranno i cibi sopra piastre di metallo dove gli spiriti maligni creeranno il calore. Gli anziani dicono che saranno gli spiriti dei defunti, dei figli bastardi, dei codardi, dei guerrieri senza onore e delle donne che si sono concesse ai piaceri della carne, donandosi come prostitute non all’uomo scelto per loro dagli anziani, dai genitori, ma scegliendo secondo le loro volontà. Un mondo così non sarà destinato ad esistere. Un modo così sarà condannato alla dissoluzione nella perversione. Un mondo dove la donna può decidere il proprio destino sarà un mondo condannato all’estinzione.

Ma il mondo potrebbe anche, pur pagandone un prezzo altissimo tollerare certe empie scelte, certe scelte che mettono il desiderio carnale di una donna al primo posto rispetto al diritto del maschio d’essere signore e padrone del destino della riproduttrice. Ma gli uomini e le donne del futuro andranno oltre a questa follia suicida. Andranno oltre a questa dissoluzione dei costumi millenari da quando il grande spirito ha creato il tutto.

Gli uomini si abbasseranno ad essere bestie ed eleveranno gli animali ad umani. Con risultati catastrofici. Lo dicono le stelle, lo dice la fiamma del fuoco, lo dicono le ossa degli infanti bolliti di cui ci siamo cibati. Basta guardare i loro crani così fragili, per rendersi conto di quanto fragile e vuoto sarà il destino che attende l’umanità. Un’umanità che si porta l’animale in casa, un mondo dove il latrato della bestia assassina diventa moina, diventa guaito di presunto affetto, dove la bestia sarà il condottiero del non vedente, dove il pulcioso vorrà salvare l’umano dall’annegamento, dalle fiamme, dalle catastrofi che gli spiriti celesti mandano all’uomo per punirlo e mondarlo dalle sue iniquità. Nel futuro sarà la bestia a che condurrà la casa dell’uomo, perché costui si sarà instupidito e rammollito, perché penserà più al cibo del quadrupede che non al cibo del bipede che è figlio dei proprio lombi…


Fuori si udii una bestia ringhiare. Era il ringhio furioso di una creatura affamata di carne, di una creatura demonica che voleva infilare i denti aguzzi nella carne d’un infante.

Il vecchio si alzò con la lentezze che il fragile corpo gli permetteva. «Prendi quell’infante» ordinò con voce rassicurante.

Il ragazzo si alzò e tolse dal recinto il neonato di pochi mesi frutto della vittoria del giorno precedente su una tribù nemica. Questi si mise a piangere, ma il nipote eseguì. Il nonno nel frattempo aveva raccolto l’ascia di pietra. Il manico era fatto con la tibia di un guerriero del villaggio morto anni prima.

«Mettilo sull’altare sacrificale».

Il ragazzo eseguì. Il vecchio alzò l’ascia al cielo, proferì una preghiera sommessa dal Dio del Sacrificio e fissando per un ultimo attimo gli occhi del neonato che sentendo per istinto avvicinarsi l’ora della morte pianse disperatamente ancora più forte. Il vecchio calò, con tutta la forza che gli permettevano le sue vecchie ossa, la pietra dell’ascia sul cranio del piccolo, frantumandogli la scatola cranica, facendolo morire all’istante.

Il nipote, che aveva assistito alla scena, fissava il nonno incantato. Ammirava il suo coraggio, la sua mano ferma, il respiro che non era mai diventato affannoso, e sorrideva. Non vedeva l’ora d’essere come lui per abbattere i nemici, anche quelli inermi, usando la medesima determinazione. Ma a tutto ciò mancavano ancora due anni. La sua iniziazione sarebbe avvenuta al compimento del dodicesimo anno. Sarebbe diventato adulto solo dopo aver superato la prova della decapitazione di una donna anziana della sua tribù. Questo era il volere della legge e lui adorava quella legge scritta nelle stelle dal Dio del passaggio del rito del sangue.

«Prendilo, smembralo e lancia i resti fuori dalla tenda» ordinò il vecchio dopo aver sollevato il cadavere dell’infante al cielo, bevendo il sangue che usciva dalla ferita sulla testa.

Il ragazzo eseguì. Era il suo primo smembramento, il padre glielo aveva sempre promesso ma mai glielo aveva fatto fare, ora il nonno gli offriva questa opportunità e lui voleva coglierla in segno di rispetto.

«Bevi il suo sangue. Anche se sangue del nemico questo è sangue puro» disse mentre gli porgeva il cadavere. Il ragazzo non si fece pregare. Prese il corpo dell’infante, lo adagiò prima a terra e poi con le piccole mani entrò nella scatola cranica e trovò la massa gelatinosa dove gli stregoni dicevano si celasse lo spirito. La toccò con le dita e poi provò ad estrarne alcuni pezzi. Dopo vari tentativi, mentre il nonno lo osservava compiaciuto ci riuscì .L’assaggiò. Era buona.

«Bravo, ora appoggia la bocca sulla testa e bevine il sangue. Ti sentirai rinvigorito». Gli disse sorridendo compiaciuto. Il nipote eseguì. Era divino. Sembrava veramente di toccare il Dio del passaggio.

«Posso smembrarlo ora?» chiese timidamente mentre rivoli di sangue e materia celebrale gli uscivano dalla bocca.

«Certo, se vuoi ti aiuto. Io lo tengo e tu tiri…»

Il ragazzino annuì. Il nonno si avvicinò al corpicino e gli prese la testa, mentre il nipote gli afferrava le gambine inerti. «Tira forte, senza paura.». Lo incitò. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Contò mentalmente fino a tre poi diede uno strattone. Si sentì un “crac”. L’osso del collo si era rotto, ma anche le ossa delle gambe. Ora restava da vedere quali dei tessuti avrebbero ceduto per primi, se quelli del collo o quelli delle gambe. Il ragazzo sperò in quelli della testa. E così avvenne. La testa rimase in mano al nonno, mentre il resto del corpo si inclinò verso il basso, ma Saruk, non lo fece cadere a terra.

«Bravissimo, ora fai la stessa cosa prima con le gambe e poi con le braccia. Puoi farlo da solo, senza bisogno del mio aiuto» lo incitò Ferrus,il nonno.

Saruk rinvigorito dal gesto di coraggio annuì contento. Prese con una mano una gamba e con l’altra, l’altra gamba e sollevando il cadavere verso l’alto, le allargò fino a quando non sentì che entrambe le ossa avevano ceduto.

«Tira, forza, non avere paura. Tira».

Aveva la fronte imperlata di sudore per lo sforzo, ma sapeva che ci sarebbe riuscito. Doveva farcela se voleva diventare un guerriero forte e valoroso. E ce la fece. Dopo che le ossa si furono spezzate, vide anche la friabile carne ed i muscoli lacerarsi. Vide le ossa, i nervi, il sangue che sprizzava fuori copioso. Sorrise compiaciuto di se stesso.

Era come togliere la cosce ad uno dei volatili che scorazzavano nel piccolo recinto costruito dalla madre. Ora doveva toglierli le ali. No anzi, si corresse mentalmente, le braccia.

Ripetè subito dopo lo stesso con le braccia del cadavere del neonato.

«Fatto, ora cosa devo fare?»

«Raccogli tutto e gettali fuori. Quando la bestia si avvicinerà per cibarsene, noi la prenderemo. Sei d’accordo?»

«Si, ma prima voglio sapere come va a finire la storia» lo esortò Saruk, gustandosi il sapore di materia celebrale e sangue in bocca e deglutendo il tutto lentamente.

«Bene…» disse il nonno, ravvivando nuovamente il fuoco e gettando uno sguardo sugli arti, il tronco e la testa del neonato smembrato.

… Le ossa parlano chiaro. Quelle bestie domineranno il mondo. Non sarà più concesso cibarsene come facciamo noi. Non sarà più concesso scuoiarli per ricavarne pelli per proteggersi dai rigori dell’inverno. Quelle bestie riceveranno il cibo migliore del nostro, la carne migliore, il pesce migliore, sarà vestito come un uomo per non sembrare più una bestia.

In molti dicono che fra migliaia di lune tutto quello che vediamo oggi non esisterà più. Non si potranno bollire i nemici, non ci si potrà cibare dei gli infanti nati morti o uccisi per necessità di sostentamento o uccisi per divertimento o riti sacrificali. Nulla. E la donna sarà la migliore alleata della bestia, soprattutto se non avrà discendenza, considererà la bestia la sua discendenza, circondandola d’attenzioni animalesche che di umano non hanno nulla…

«Non può essere» lo interruppe il nipote. «Il mondo, l’uomo del futuro non potrà essere così stupido da cedere a tutti i ricatti della donna e dell’animale. Sarà la fine per tutti loro. Possibile che non sapranno fermarsi in tempo?» Terminò quasi bisbigliando dallo spavento.

«Ti ricordi cosa abbiamo fatto due giorni fa? Gli domandò il nonno cercando di distogliergli i pensieri cupi su un futuro che grazie agli spiriti non potrà mai conoscere.

«Certo» Rispose Saruk, indicando nel frattempo con un dito i resti del neonato.
«Hai fame?»

«Sì»

«Mangia pure, ma lasciane per la bestiaccia qua fuori»

Saruk si avventò sull’addome del cadavere. Aveva i denti aguzzi e affilati e gli fu facile laceragli il ventre e tuffarsi, come un ingordo, nello stomaco, nel fegato e nei reni del neonato, dando dei rapidissimi morsi e strappando ampie porzioni.

Saruk era abituato alla carne dell’animale che abbaiava. La sua tribù non poteva permettersi spesso carne dei nemici. Anche se erano guerrieri valorosi, in quelle terre desolate le tribù con cui combattere e vincere erano poche, dovevano accontentarsi di altri tipi di carne e quella che prediligeva di più, dopo quella umana, era quella degli animali che abbaiavano, e in quelle terre non mancavano.
Saruk, dopo aver gettato i resti del neonato fuori dalla tenda, lasciandoli abbastanza vicini per poter prendere la bestia abbaiante, uccidendola mentre se ne cibava rimase con la mano destra sulla pelle della tenda tenendola socchiusa, pensando…


….Era stata una giornata di caccia bellissima. Le bestie abbaianti in quella zona erano moltissime e di specie diverse. Alcune avevano gli occhi di due colori, altri il folto pelo marrone o nero, con le zampe grosse, o con il pelo bianco e a riccioli, altre ancora abbaiavano sempre e sembravano quasi senza pelo e si attaccavano alle gambe facendo gesti che a Saruk sembravano strani, ma non a suo padre e a suo nonno che non dicevano nulla, ma sorridevano.

Ne avevano trovati quasi una decina di quelli che anche da grandi sembravano senza pelo. La madre in quel momento non c’era. Forse era andata in cerca di cibo. Quando il padre di Saruk gli aveva visti, rannicchiati in un piccolo pertugio sottoterra, aveva gridato con tutto il fiato che aveva in gola. Saruk era stato il primo ad arrivare, seguito dal nonno e da altri tre uomini della tribù.

Il ragazzo sorrise. I cuccioli non avevano più di qualche settimana. Dovevano essere buonissimi, si disse tra se pensando a quanto sarebbe avvenuto dopo poco.
Il nonno prese quello che sembrava il più grasso e lo alzò al cielo in segno di ringraziamento. Poi prese un oggetto accuminato dalla bisaccia in pelle e glielo infilò nell’occhio. L’animale guaì per il dolore ed il gruppo sorrise. Ferus gli cavò prima l’occhio destro e poi il sinistro e li diede al più giovane del gruppo, a Saruk, affinchè una volta adulto avesse lo stesso sguardo dell’animale durante la caccia.
Il ragazzo dopo aver fatto un cenno col capo prese con le mani gli occhi che il nonno gli porgeva e li ingurgitò, deglutendoli senza masticarli.

La piccola bestia accecata continuava a guaire per il dolore, ma nessuno se ne curava. Il Dio del cibo richiedeva ben altri sacrifici.

«Posso farlo io?» domandò Saruk al padre.

Il genitore annuì.

Saruk prese la bestia che guaiva e la getto sopra una grossa pietra con tutte le forze che il suo giovane braccio gli permetteva. Poi a turno tutti i membri del gruppo saltarono sopra il corpo ormai morto del cucciolo, danzando. Facendo poi lo stesso agli altri della cucciolata.

A,l termine il nonno prese una grossa pietra tagliente e tolse la pelle ai cuccioli gettandole nella bisaccia, per farne in seguito copri capi ed ornamenti per le tende e la carne in un'altra bisaccia per dividerla con il resto della tribù. Non restava che attendere la madre dei cuccioli. Lei sua carne era destinata alle donne della tribù…

Ritornò in se, strappato dai ricordi, quando udii una bestia avvicinarsi con passo furtivo. Gli occhi di Saruk si erano abituati all’oscurità e scorse l’animale abbaiante che ormai era a pochi passi dal cadavere fatto a pezzi del neonato.

Saruk ne rimase stranamente affascinato. Era la prima volta che lo vedeva sotto quella luce e….

…e Ferus vide che il nipote, dopo aver lasciato chiudersi alle spalle la tenda di pelliccia, si era portato all’esterno, e si stava avvicinando alla bestia, non come un guerriero, ma quasi in segno di resa. L’animale si avvide del suo gesto e dopo aver ignorato i resti del neonato si avvicinò a Saruk senza né ringhiare, nè abbaiare, ma guaendo in modo che a Ferus parve quasi umano, quasi come il suono affettuoso di un neonato che cerca dal seno il latte materno. E il latte materno, per la bestia abaiante sembrava impersonata dal nipote.

«Vieni qui…» bisbigliò il ragazzo all’animale.

Questi gli si avvicinò annusandoli con circospezione la mano che odorava del sangue del neonato.

Tutto avvenne in pochi istanti.

Saruk cadde a terra con il nonno ansimante che lo fissava inorridito.

Gli anziani del villaggio avevano ragione, anche se non avrebbe voluto ammetterlo. Gli spiriti erano stati chiari. Suo nipote poteva diventare un corruttore dei costumi della tribù e andava fermato. E il compito era toccato, dopo che gli anziani si erano consultati tra loro, proprio a lui.

Ferus rimase ammutolito davanti al corpo morto, col cranio fracassato del nipote. Ma lui era lo strumento della giustizia degli spiriti del cielo.

Il cane dopo aver assistito alla scena, prima fissò il cadavere di Saruk e poi guardò dritto negli occhi Ferus,. Entrambi abbassarono lo sguardo. Ferus trattenne una lacrima, mentre il cane dopo essersi messo a latrare si voltò, fuggendo nel buio della foresta abbaiando di dolore per la morte del primo essere umano che l’aveva accolto.

Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti è puramente casuale.

Marco Bazzato
29.07.2009

sabato 25 luglio 2009

Virus H1/N1 fantapaepidemia



Siamo giunti alla farsa mondiale. Prima dovevano essere i messicani gli appestati. Voli cancellati, danni al turismo, panico generalizzato, interviste strappalacrime ai sopravissuti. Poi doveva essere la volta degli Stati Uniti, che sembravano quasi sul punto d’essere sterminati dal famelico virus.

Nulla di tutto ciò.

Ora la psicosi mediatica si è trasferita in Inghilterra, isola che secondo uno stereotipo difficile da cancellare vede i sudditi di Sua Maestà notoriamente poco propensi all’igiene personale, non usano il bidet, portano la fiatella visto ciò di qui abitualmente si cibano e sono portatori insani d’ascella pezzata. Eppure nonostante gli allarmi planetari, in pochi crepano.

Sarebbero 833 i decessi, su un totale di 133.252casi ad oggi riscontrati, i quali rapportati alla popolazione mondiale di oltre 6.750.819.383, stimati al I gennaio 2009, fa apparire l’influenza H1/N1 un nonnulla. Eppure i media di tutto il mondo continuano a lanciare l’allarme pandemia, continuano con il batteriologico terrorismo psicologico, generando allarmismi ingiustificati.

Se ben guardiamo all’inizio di questa porca bufala, sembrava che si dovessero accoppare tutti i porci, che i maiali fossero i terribili appestatori prima del Messico e poi del globo, che i suini fossero i responsabili dei morti dal tempo di Mosè fino ai primi di marzo. Poi il silenzio, i suini sono stati scagionati dall’infame accusa e tranquillamente ricondotti al macello per diventare succosi manicaretti. Oggi del Messico non si parla più. Che crepino di suina o no, al mondo non importa. Come non importa se crepa qualche statunitense. Ora gli appestato sono quei puzzoni degli inglesi, eppure nessuno si sogna di fermare i turisti alla frontiera, mica sono messicani gli inglesi. Voli e viaggi regolari. Evviva le ferie col rischio paventato di tornare pronti per l’altro mondo, nonostante in Italia per complicazioni a seguito le comuni influenze vadano al creatore circa 5.000 persone all’anno. Ma quelle non contano.

Ora ci sono i vaccini da smerciare. Si favoleggia di ricavi per miliardi di dollari per le aziende farmaceutiche interessate ad inoculare un vaccino inutile e di cui no si potranno conoscere gli effetti collaterali, in quanto la sperimentazione è accelerata come un treno destinato al deragliamento, tutto per la necessità di salvare vite umane, dicono!

Balle, alle industrie farmaceutiche interessa spacciare acqua distillata per vaccino, incassando dai paesi o dai cittadini il prezzo della dose da iniettare.

Secondo le stime, si otterrebbero gli stessi risultati consultando i tarocchi o leggendo i fondi di caffè, gli appestati nel mondo potranno essere circa 2 miliardi, circa il 33% della popolazione, senza contare che il numero dei cadaveri sarebbe inferiore rispetto ad una normale influenza.

L’influenza A o influenza suina o H1/N1 tanto è sempre il solito vuoto spinto, è una pandemia giornalistica creata dai media, spinti dalle case farmaceutiche è una pandemia di parole lanciate nell’etere, nella speranza di diffondere il panico tra la popolazione mondiale, in modo che da buone pecore condotte al macello, subiscano l’obbligo, quando l’acqua distillata sarà pronta, della vaccinazione obbligatoria a scopo di profilassi, imposta dai vari sistemi sanitari nazionali che avranno forse ricevuto stecche più alte del montepremi odierno del superenalotto per diffondere il panico universale.

La cosa più bella che potrebbe fare a questo punto il virus H1/N1 è quella di mutare, da una forma non virulenta come quella attuale aduna veramente assassina, con altissimo tasso di mortalità, almeno se si deve diffondere il panico generalizzato che sia reale, non inventato. E che il virus muti rendendo impossibile la preparazione di un vaccino.

L’ideale sarebbe il cosiddetto “Progetto Azzurro”, la super influenza, Capitan Trips, del romanzo The Stand – l’Ombra dello Scorpione – d i Stephen King.

Non ci resta che attendere, pregare e sperare che tutto ciò avvenga. Alla faccia dei giganti della Big Pharma.

Marco Bazzato
25.07.2009
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martedì 21 luglio 2009

Loredana Bertè: ho troppi debiti voglio fare i GF

“Sono piena di debiti” ha dichiarato Loredana Bertè al quotidiano libero diretto da Vittorio Feltri.
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E al mondo cosa importa? Mica è l’unica che ha problemi economici. Beh forse lei se li è cercati, in quanto ha dichiarato di pagare 8500 euro ogni due mesi di rate per il muto, 51.000 euro all’anno, cifra che nessuna famiglia della classe media italiana potrebbe mai permettersi di pagare solo per il mutuo.

“Ho paura di fare la fine di Michael Jakson” ha aggiunto.

Tranquilla, qualsiasi gesto decidesse di fare, anche quello più estremo, come la sorella Mia Martini, non farà mai la fine del Re del pop. Le che cantava “Non sono una signora” dimostrandolo in tutti i modi, non potrà mai fare la fine di un Re. E soprattutto scatenare quell’isteria planetaria postmortem.

Vorrebbe entrare al Grande Fratello con la pretesa fin da ora di vincere il malloppo. Ma ammesso e non concesso che le fosse offerta questa possibilità, cosa impossibile perché il GF è destinato ai cosiddetti signor nessuno, verrebbe eliminata già alla seconda settimana, per essere buoni, visti i suoi precedenti e gli abituali comportamenti, che non hanno contribuito certo a farla passare né per intelligente né tantomeno per equilibrata.

Ora piange miseria, “Le spese condominiali mi soffocano, sono rimasta senza cucina”.

Avrà fatto il passo più lungo della gamba. Capita!

“Ho bisogno del montepremi finale per poter ricominciare a vivere”. Risibile. Forse non si è resa conto che a tutti, non solo a lei farebbe comodo la cifra in ballo al vincitore per dare una svolta alla vita. Già con quest’uscita, anche chi non è medico, psicologo o psichiatra si può rendere conto dello stato psichico della Bertè.

Come per Michael Jakson, se vuole salvarsi non tanto dai debiti, ma per quanto poco la vita, dovrebbe sottoporsi al TSO – Trattamento Sanitario Obbligatorio – che potrebbe giovarle per evitare gesti estremi. Evidentemente il Sindaco del luogo ove risiede o il suo medico curante o non conoscono la sua situazione psicologica, nonostante la rete sia piena delle intemperanze dell’artista, sempre che si possa chiamare artista una cosa del genere, oppure pur essendone a conoscenza allo stato attuale dei fatti non possono o non vogliono agire. Eppure, se non è l’ennesima trovata pubblicitaria per far risuscitare dal cimitero una carriera defunta, già questo pubblico grido di dolore, riportato da molti quotidiani italiani, dovrebbe portare ad agire, per non trovarsi innanzi ad un evento irreversibile, al solito “coccodrillo postumo” fatto di buone parole e ricordi di amici, se mai ne ha ancora, che piangono la sua dipartita, esaltandone ipocriticamente le sue doti umane e canore.

Provare dispiacere per una tale situazione? No, senza ombra di dubbio. Ci sono situazioni molto peggiori di tanti signor nessuno che non hanno spazio sui giornali, che non godono di alcun tipo di attenzione, che mai potrebbero sognarsi di ricevere un mutuo per l’acquisto di un appartamento da una banca per la somma di 51.000 Euro all’anno, 102 milioni delle vecchie lire.

Una cosa è certa: sta chiedendo aiuto con l’ennesima trovata pubblicitaria, sapendo bene che non ha nessuna possibilità di far parte dei concorrenti del GF, figurarsi vincerlo. Ora sta al suo medico curante, al sindaco, agli amici quelli veri, ai suoi collaboratori, far leva nelle sedi opportune affinché la persona possa essere curata.

Gli indicatori, anche per un profano ci sono tutti, figurarsi per un clinico specializzato, senza dimenticare che il precedente in famiglia esiste già: la sorella Mia Martini.

A Loredana Bertè la scelta.

Marco Bazzato
21.07.2009

Milano, vietato l'alcol agli under 16


Cari minorenni milanesi che amate l’alcol, lo sballo, il gridare come bestie all’aperto fino alle luci dell’alba, quello appena trascorso e stato teoricamente l’ultimo week end per farlo legalmente, poi come i carbonari, dovrete entrare in clandestinità per lasciarvi andare, da lunedì prossimo, ad un sano e distruttivo coma etilico.

A Milano sembrerebbe quasi endemico il problema dei baby alcolisti, che amano prendersi sbronze colossali durante i week end, timorosi però delle legnate – magari arrivassero veramente – dei genitori, che solitamente giurano e spergiurano sull’integrità etilica dei pargoli a cui è concesso rientrare a casa alle prime luci dell’alba, in nome di un permissivismo senza regole e della fiducia smisurata che potrebbe nascondere lassismo o peggio ancora il menefreghismo.

Il problema è che spesso le autoambulanze sono costrette ad uscire nel pieno della notte per assistere idioti che rischiano il coma etilico, ma che da adulti a metà, con i soldi di mamma e papà, non desiderano che i genitori siano messi a conoscenza del loro animalesco stato pietoso. Una delle soluzioni semplici, oltre al giusto proibizionismo, che sarà aggirato dalla settimana prossima andando a sbronzarsi fuori città, sarebbe quello di non prestare assistenza agli ubriachi, non importa di che età, o/e far pagare a questi o ai famigliari i costi dell’uscita, partendo dalle spese del carburante, all’usura dei pneumatici, per finire con il costo dei paramedici che devono assistere scimmie che vomitano e delirano.

Toccagli i portafogli o negali, non tanto i ricoveri in ospedale e vedi come potrebbero diventare tutti astemi nel giro di cinque sbronzi lasciati agonizzare in mezzo al vomito e agli escrementi sotto il solleone di luglio.

Un'altra soluzione potrebbe essere quella di denunciare i genitori per omesso controllo dei figli, se questi, avendo meno di 16 anni, dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza milanese dovessero essere trovati fuori casa dopo le 24.00, togliendo per almeno due mesi la patria e podestà, portando i minori in un centro accoglienza e disintossicazione, a spese della famiglia.

Non è un Paese normale e civile, una nazione che permette ai ragazzi di trovare alcolici in ogni luogo dove, per le intemperanze alcoliche di queste bestie minorenni o maggiorenni, ma pur sempre minorati mentali, deve essere la società a pagare, con disturbo della quiete pubblica, bottiglie per terra, cloache umane che pisciano, defecano e vomitano, peggio dei cani, ad ogni angolo, che hanno anche la sfacciataggine d’offendersi, insultare e minacciare se qualcuno prova a chiedere, alle prime luci dell’alba, un po’ di quiete.

La soluzione ideale, sarebbe quella di sparare su questi esagitati getti d’escrementi, solidi o liquidi non importa, affinché tornino a casa, dai genitori che dormono ignari, puzzando come cessi non lavati da mesi. L’unico problema di questa scelta e che si aggiungerebbe oltre al tanfo degli ubriachi il tanfo degli escrementi schizzati su pavimenti e muri e questo non andrebbe a benefico delle città e delle piazze.

Sogni ad occhi aperti a parte, il problema è serio. Non tanto perché alla società, a ragione, importi molto di questi schifosissimi alcolizzati, che se fossero inoffensivi per gli altri, non sporcassero, non gridassero, dentro uno zoo ci potrebbero stare benissimo, ma questi a coma etilico quasi avvenuto vogliono essere soccorsi, vogliono guidare, tornare a casa in auto o in scooter, con i rischi che ne conseguono per l’incolumità dei salubri.

Il problema è che l’ordinanza milanese serve a poco. In quanto già da venerdì prossimo inizieranno i pellegrinaggi per andare ad infestare le città o i paesi limitrofi, fuori dalla cintura urbana milanese, spostando il problema dei rifiuti umani dal centro alla periferia, dove i controlli potrebbero essere inferiori col conseguente rischio d’aumento degli ubriaconi.

E poi diciamoci la verità, 450 euro di multa ai genitori dei piccoli alcolisti pubblici sono una miseria, sarebbe giusto oltre alla sanzione pecuniaria, che baby alcolista e famiglia facessero almeno 300 ore a testa di lavori socialmente utili, come andare a ripulire il vomito degli ubriachi, per rendersi conto di quanto schifo fanno, visto che spesso hanno una vita totalmente inutile e vuota .

Comunque il proibizionismo non serve a nulla, specie per chi anche a Milano potrà aggirare le norme. Si tornerà agli anni 80 con le festine fatte in casa e con l’alcol acquistato, in quantità industriale da maggiorenni al supermercato. Comune rimarrebbe buona l’idea di non prestare alcuni tipo di assistenza sanitaria ai coloro che ubriachi rischiano o cadono in coma etilico.

Che si arrangino!

Il sindaco Moratti ha sbagliato, non doveva essere per i minori di 16 anni, ma per i minori di 18.

Marco Bazzato
21.07.2009
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sabato 18 luglio 2009

Benedetto XVI si è rotto il polso


Il mondo con il fiato in sospeso. Veglie di preghiera da Pechino a San Francisco, da San Paulo del Brasile a Capo Nord. Fedeli, più o meno credenti che cadevano in isteria, strappandosi i capelli, bollendo i figli dei vicini, tirando sotto con le auto i cani abbandonati in autostrada, bruciando foreste, appiccando incendi nei quartieri alti delle capitali, facendo esplodere – per al disperazione – stazioni di servizio e convogli per il trasporto del gpl quando attraversano aree disabitate. I canali televisivi, siti internet e barboni ad ogni latitudine hanno sospeso le normali attività, comprese quelle fisiologiche come il rilascio degli intestini o lo svuotamento vescicale, per rimanere incollati davanti alle tv, ai monitor dei computer, alcuni accendendo nere candele devozionali su altari e templi innalzati in pochi attimi, dedicati a venerdì 17 – luglio 2009. Giornata che alcuni vorrebbero divenisse festa internazionale perché Benedetto XVI si è rotto il polso.

Scherzi, ma non troppo, a parte, ieri per i media italiani è stata una giornata di lparaculismo senza precedenti. Appena si è sparsa, quella che è stata spacciata impropriamente per una notizia, cioè che Papa Ratzinger e scivolato in cesso, fratturandosi il polso è scattato il mediatico allarme rosso. News in tempo reale per raccontare, con una sequela di idiozie senza fine la “dolorosa giornata, il calvario, il Golgota di Benedetto XVI, cercando ad ogni inquadratura uno moto di sofferenza, una maschera di dolore, un cenno d’imprecazione o bestemmia sussurrata o almeno pensata nei confronti di qualche divinità avversa alla sua.
Nulla di tutto ciò è avvenuto, sebbene per tutta la giornata i palinsesti delle tv italiane – da qui si vede l’asservimento della Repubblica e dei media allo Stato Città del Vaticano – abbiano stravolto la scaletta d’apertura per dare al mondo “l’infausta?” notizia.

Ridicolo.

Hanno costruito un caso sul nulla, trasformando un banalissimo fatto privato, avvenuto in un cesso, senza sapere la cosa più importante, cioè se il tizio in questione era nudo o vestito, in una notizia di rilevanza planetaria, come se l’intero pianeta dovesse centrare necessariamente le sue attenzioni a quell’anziano ultra ottantenne perennemente vestito di bianco che calza, come Ronald Mc Donald, scarpe rosse.

Ieri non si capisce secondo quale criterio, la notizia più importante d’apertura di tutti i Tg doveva essere la frattura di un vetusto polso. Come se il resto delle notizie compresi attentati, incidenti stradali e altre vere tragedie fossero inezie rispetto d quattro ossa incrinate di un ottantenne. Disgustoso.

La cosa, se il sedicente Santo Padre, come vuole farsi chiamare in pubblico, poteva essere risolta senza tanto clamore, facendo entrare l’anziano per una porta posteriore dell’ospedale, portandolo in radiologia ed eseguendo il presunto intervento, in sostanza una banale ingessatura, senza creare scompiglio nel nosocomio aostano, invece i media, e la Sala Stampa vaticana hanno voluto creare il gossip, in quanto sanno benissimo che altrimenti, come ha detto il vaticanista rimosso da Rai 3, Roberto Calducci, al seguito del Papa ci sarebbero “i soliti quattro gatti”.

Ora alcuni sussurrano che si voglia santificare il gesso che ha ricomposto la frattura, costruendo una cattedrale con cripta in oro annessa, simile a quella in cui saranno infilate le ossa di Francesco Forgione, detto Padre Pio. Il futuro sacro cesso, pardon gesso, forse sarà edificato o in Baviera, patria di Ratzinger, o portato a Padova, spostando Sant’Antonio in qualche chiesetta in una delle parrocchie limitrofe alla città patavina, per far posto al “miracoloso” gesso che si bisbiglia già avere qualità taumaturgiche.

L’unica cosa che si può augurare a Papa Benedetto XVI è altri 100 venerdì 17 come questo.

Marco Bazzato
18.07.2009
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mercoledì 15 luglio 2009

Sentenza Sandri, 6 anni all’agente Spaccarotella



Gli ultras volevano vendetta, hanno ricevuto giustizia.

L’immagine del dolore per la morte de facinoroso tifoso laziale, ucciso durante una fuga nell’ autostrada A1, a seguito di una rissa con la tifoseria juventina, in una stazione di servizi ad Arezzo, dando inizio a quello che uno degli sport preferiti degli ultras, dove ogni pretesto è buono per alzare mazze, catene e se fortunati, incendiare qualche auto, bruciare i cassonetti, lanciare sampietrini, sfasciare vetrine, cosa avvenuta dopo che negli stadi si era diffusa la notizia della morte del tifoso laziale Gabriele Sandri.

La verità è che dal momento della morte del figlio volevano una giustizia strana, che escludesse senza motivo, l’esatta dinamica dei fatti acclarati dai giudici.

Lo si è visto alla lettura della sentenza, quando un gruppo di tifosi, amici della vittima, si sono comportati da esagitati, costringendo il giudice a farli uscire dall’aula, così come gli avvocati difensori di Spaccarotella hanno dovuto rimanere barricati nel Palazzo di Giustizia per alcune ore, in quanto le proteste dei santi tiosi assumevano toni sempre più minacciosi, con il fratello di Gabriele Sandri che cercava di calmare gli esagitati, riconducendoli alla ragione.

La famiglia e il pubblico ministero, nonostante questi abbia dato prova di buone abilità come mimo, hanno perso in quanto era chiaro fin dal primo momento che l’uccisione del facinoroso in fuga non era un atto intenzionale, nonostante Luigi Spaccarotella, il polizziotto avesse usato l’arma non come insegnano nella polizia, ma impugnandola come si usa nei telefilm polizieschi di matrice americana. Com’era altresì chiaro che l’evento era fortuito, dovuto alla sfortunata casualità, in quanto come è stato acclarato il proiettile è stato deviato dalla rete di protezione che delimita l’autostrada, colpendo al collo il tifoso in fuga, seduto sul divanetto posteriore, assieme ad altri tifosi laziali, che all’arrivo degli agenti di polizia si sono dati alla fuga.

Se l’evento fosse stato voluto sarebbe stato possibile riprodurlo tale e quale con una ricostruzione reale negli stessi luoghi, usando proiettili imbevuti di colore, dimostrando così oltre ogni ragionevole dubbio la volontà dell’agente di uccidere. Ma né il pubblico ministero né i legali di Sandri sono riusciti a ricreare la cosiddetta “prova regina” che avrebbe inchiodato alle sue responsabilità l’agente Spaccarotella.

Esiste una differenza sostanziale tra riproducibilità e fatalità e i giudici, a ragione, nonostante gli errori di procedura nell’impugnare l’arma senza sicura, hanno ritenuto che l’evento fosse totalmente fortuito, in quanto palesemente non riproducibile in modo sperimentale.

La famiglia di Sandri, detto Gabbo nel giusto dolore, ha ricevuto giustizia vera, non una giustizia mascherata da vendetta, dove la morte del figlio è stata, oltre ogni ragionevole dubbio frutto dell’uso improprio dell’arma di servizio, che ha comportato la casualità della deviazione del colpo da parte della rete di protezione. Infatti, se la rete non avesse deviato il proiettile, questi si sarebbe perso, senza causare alcun danno.

Ora quelli che sono da tenere sottocontrollo sono coloro che usando il pretesto di una condanna che pensano iniqua si danno a manifestazioni, devastazioni, assalti, a distruzioni e slogan contro lo Stato.

Questo secondo le presunte tifoserie sarebbe il modo migliore d’onorare la morte di uno di loro, ucciso dal proiettile deviato da una rete di protezione?

Ora la famiglia vorrebbe organizzare una marcia di protesta, portando in piazza centinaia o forse miglia di persone. Ma per protestare contro cosa? Contro la rissa fatta dalle tifoserie laziali e juventine alla stazione di servizio di Arezzo? Contro la fuga in auto dei facinorosi, che dopo esser venuti alle mani scappavano? Contro il poliziotto, che nell’imperizia nell’impugnare un’arma senza sicura ha fatto, anche se volontariamente premendo volontariamente il grilletto due volte, facendo partire il proiettile che fatalmente è stato deviato dalla rete di protezione? O contro la rete di protezione che ha deviato il proiettile, colpendo il tifoso in fuga, uccidendolo?

Queste sono le sequenze dell’azione e sono il frutto della casualità, di una serie di errori e circostanze, che nella fase finale non sono riproducibili, che hanno portato alla sentenza dei giudici, che a ben guardare, in questo caso particolare potrebbe essere addirittura eccessiva.

Si attendono ora le motivazioni della sentenza.

Sperando che nell’appello, non tendo conto delle proteste popolari, non sia inasprita, ma derubricata e quindi mitigata ancor di più, rimandando l’agente in servizio.

Naturalmente si capisce fino in fondo il dolore della famiglia, a cui nessuna sentenza, seppur esemplare, restituirebbe il loro figlio.

Resta una domanda finale: perché il ragazzo si è fatto trascinare in una rissa che poi è risultata fatale?

Spesso certi comportamenti compiuti da presunti tifosi, portano a tragedie di cui solo il fato può essere ritenuto responsabile. E in questo tragico caso, il responsabile finale è la rete che ha deviato di 25 metri il proiettile.

Tutto il resto è dolore per la famiglia della vittima, per gli amici di Gabriele Sandri e per l’agente, che sicuramente porterà con se il peso della sua imperizia nell’utilizzare l’arma e che maledirà per sempre la rete che ha deviato il proiettile che ha esploso il colpo, che fatalmente è risultato fatale per Gabriele Sandri.

Va ricordato, che nonostante gli errori, le forze dell’ordine sono impegnate a proteggere i cittadini, contro i tifosi che “sport” sfasciano, creano distruzione e caos come nella foto di copertina dell’articolo. Per fortuna che gli ultras sono un esigua minoranza, rispetto ai tifosi che amano lo sport per quello che è: sport.

Marco Bazzato
15.07.2009
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martedì 14 luglio 2009

Tg 3: "Quatto gatti per il Papa"


Al Vaticano le verità scomode, i fatti acclarabili non piacciono. Anzi chi si azzarda a divulgarli è tacciato d’essere anticlericale, nemico della Chiesa e, va male personale nemico religioso del Papa.

Nel TG3 del 12 luglio delle 19 va in onda il servizio sulle vacanze di
Benedetto XVI del vaticanista Roberto Balducci. Il giornalista, mentre scorrono le immagini dell'Angelus, dice testualmente: "Domani il Papa va in vacanza e ci saranno anche 2 gatti... che gli strapperanno un sorriso, almeno quanto i proverbiali quattro gatti, forse un po' di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare ancora le sue parole".

Il problema è che il vaticanista aveva ragione da vendere. Tant’è che nelle immagini di ieri del TG3 delle 14.00 ad accogliere il Vicario di Cristo in Terra,
Sua Sanità, il Portatore di Verità, il Sommo Pontefice – carica di derivazione pagana dell’antica Roma che con Cristo non ha nulla a che fare – il Capo supremo della Chiesa Cattolica, dello Ior – Istituto Opere Religiose – la banca Vaticana,dell’Obolo di San Pietro, il monarca assoluto della teocrazia dello Stato più piccolo e più ricco del mondo, ex membro della Luftwaffenhelfer, indottrinato a 16 anni dopo i primi studi gli di seminario dalla Gioventù Hitleriana, costola giovanile del nazionalsocialismo, Joseph Alois Ratzinger, abbreviato in Joseph Ratzinger, che si fa chiamare Benedetto XVI, ma questo per i nemici della verità, che siedono in Vaticano non si può dire, nonostante che nell’introduzione nella nuova enciclica “Caritas in veritate”, verità e carità fossero scritte fino alla nausea.

Le immagini erano eloquenti anche per i citrulli, per i gonzi o per chi dormiva davanti allo schermo tv, emanando flatulenze da intestino pigro e rutti da bevitori incalliti di birra, non lasciavano spazio ai benché minimi dubbi. Tant’è che anche il matematico costruttore di ponti, pardon il Sommo Pontefice sembrava deluso per il deserto che si prospettava davanti a lui, sia nello scalo tecnico di Torino, sia all’arrivo, con entrambi i casi solo 4 beduini – con tutto il rispetto per i
beduini – di benvenuto, per lo più alunni costretti dalle pie insegnati, nonostante l’anno scolastico sia finito, a presenziare alle auguste cerimonie, sia dello scalo tecnico, sia d’arrivo, senza contare i due picchetti d’onore, con i militi che avrebbero esser stati mandati a dirigere il traffico, senza cappello e in autostrada durante l’esodo d’agosto.

D’altronde non è un mistero per nessuno che sia le udienze del mercoledì, sia l’Angelus domenicale siano sempre più poveri di fedeli. Sono spesso desolanti le immagini di Piazza San Pietro vuota al 98% alla domenica, con solo un drappello di ultras, pardon fedeli, che si riuniscono sotto la finestra papale per ascoltarne i monologhi piatti come l’olio usato per il crisma, tant’è che le telecamere, indugiano quasi esclusivamente sui primi piani dei fedeli, per creare l’illusione agli telespettatori a casa delle piazza gremita.

Ma far notare tutto ciò, dirlo, scriverlo o peggio anche solo pensarlo è un atto di lesa maestà di anticlericalismo di salsa illuminista, pericoloso da diffondere.

Forse il Vaticano ha ragione, bisognerebbe nascondere, come fa la
Chiesa, le verità scomode, non dirle, gettando le verità sataniche per il clero sotto lo zerbino sulfureo, fermando ogni virgulto o seme di verità diversa da quella conclamata dai “Sacri Palazzi” in modo da illudere, come un prestigiatore fallito, il popolo dei credenti e non dell’unità, del seguito delle masse al magistero della chiesa cattolica, per non dividere il popolo, per no farlo ragionare pericolosamente con la propria testa, affinché tenga sempre il capo chino in rispettoso silenzio, affinché possa pagare e mantenere lo smisurato, ma in declino costante di vocazioni, esercito di ecclesiastici, che solo in Italia per il loro mantenimento, tramite l’8 per mille, drenano quasi un miliardo di euro all’anno.

Ma se ci sono, come ha detto il giornalista del TG3, “quattro gatti ad attenderlo…” ecco che fioccano polemiche, interrogazioni parlamentari e strali della politica contro un professionista, reo d’aver fatto una previsione esatta, avveratasi nella realtà, creando senza mezzi termini la certezza che l’idea di un giornalismo sano, indipendente e non asservito nessun potere né italiano o peggio ancora straniero, debba essere nei fatti inesistente e nel caso esistesse, censurato con più virulenza mediatica distruttiva possibile.

Strano mondo l’Italia, dove si umanizzano cani e gatti, ma ecco che appena qualcuno si permette di animalizzare le persone scattano le polemiche, nel nome di una verità relativa, secondo il Vaticano offensiva. San Francesco che secondo la tradizione parlava con cani, lupi, porci, gatti e uccelli sicuramente si starà rivoltando nella tomba.

Marco Bazzato
14.07.2009
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lunedì 13 luglio 2009

Beppe Grillo candidato alla segreteria del PD


Forse l’idea girava tra i ricci da mesi, eppure la notizia che Beppe Grillo ha deciso di candidarsi alla segreteria del PD ha lasciato tutti spiazzati.

Il calcolo del comico-ragioniere è presto fatto. Il suo Blog sta perdendo appel, scendendo sempre più in basso nella classifica dei blog più letti al mondo. Basta guardare i numeri dei commentatori in costante crisi emorragica. Grillo cerca nuova visibilità sui media nazionali e internazionali in questi giorni costretti, a malavoglia, a dargli spazio.

Il Beppe-pensiero va bene in un teatro tenda, in un blog, ma va ricordato che un comico non è fatto per la dialettica ed il confronto, ma per i monologhi, quando ha il palco tutto per se. Senza contare il fallimento delle sue Liste Civiche essendo riuscito a piazzare solo 40 persone in 30 capoluoghi provinciali, dove molti eletti potrebbero vedere in questa candidatura quasi un voltafaccia rispetto agli intenti iniziali.

Grillo dice che dopo la morte nel 1984 di Enrico Berlinguer, quando ancora esisteva il P.C.I. c’è stato il vuoto, dimenticando però che tutto lo scenario politico nazionale ed internazionale è mutato completamente, che il Partito Comunista Italiano aveva iniziato a morire ideologicamente ed economicamente dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, quando i finanziamenti dell’ex Unione Sovietica erano venuti a cessare.

Beppe Grillo non può essere un candidato credibile alla segreteria del PD, in quanto per anni non ha fatto altro che attaccare il partito e la dirigenza. Questa sua discesa in campo assomiglia a quella di Silvio Berlusconi, avvenuta il 26 gennaio 1994, con la differenza che Grillo non vuole cimentarsi con un nuovo partito, ma vorrebbe entrare, dopo averci sputato, in un partito sebbene decotto da anni, dalla porta principale, sedendosi subito sulla poltrona di comando.

Cosa può esserci dietro a questa candidatura impossibile?

Il desiderio o la voglia di tornare, seppur per poco, sul palco mediatico nazionale, palcoscenico gli è precluso, dopo le intemperanze anticraxiane e antisocialiste del 1994 – sebbene poi la storia e le sentenze abbiano dimostrato che avesse ragione – che è riuscito a riconquistarsi, riciclandosi nelle piazze, il blog, fino all’apice del 2007 quando sembrava che il paese, grazie al libro di Rizzo e Stella, pubblicato anche in Bulgaria, dovesse ribellarsi a “La Casta”. Poi una lenta discesa, la perdita del primo posto in classifica tra i blog più letti, che non necessariamente significa influenti, al mondo, ed il lento declivio non si arresta.

L’età. Bebbe Grillo parla di politica vecchia, ma non può dimenticare che ha solo 11 anni in meno rispetto all’attuale premier, e che un conto è intortare il popolo come comico, un conto è riuscire a farlo con i politici. Seppur è vero che la politica italiana ha toccato vette ineguagliate di comicità.

Senza contare che, Beppe Grillo è un fervente sostenitore di Antonio di Pietro, e non sia come questi possa aver preso privatamente questo repentino cambio di bandiera, che fa assomigliare il Beppe nazionale come uno dei tanti voltagabbana, vedi Clemente Mastella ora eletto a Bruxells sotto la bandiera di Forza Italia.

Non bisogna dimenticare che per candidarsi alla segreteria del PD si deve essere iscritti al partito, iscrizione fatta oggi pagando la quota di 16 Euro, e presentare 2000 firme entro il 21 luglio.

La candidatura di Beppe Grillo appare più come il colpo di coda di un comico alla frutta che cerca di riciclarsi, trovandosi nuovo lavoro, presumibilmente ben remunerato. Senza contare che se nella malaugurata ipotesi dovesse diventare segretario, chiaramente dovrà abbandonare il linguaggio da bar, in quanto la segreteria di partito esige, pur raccontando i fatti, un linguaggio appropriato, non come quello usualmente abituato nei teatri tenda durante i suoi monologhi, in quanto come comico gode della possibilità d’usare un linguaggio fiorito e volgare, ma se assumesse la direzione della segreteria le sue interperenze verbali e scurrilità nei confronti degli avversari politici farebbero immediatamente scattare le querele, di cui non sarebbe immune sotto il profilo penale visto che non godrebbe dell’immunità parlamentare.

Va tenuto presente che non è detto che sia la base, sia i vertici difficilmente si metteranno un “Cavallo Pazzo” in casa, che potrebbe creare scompigli sugli equilibri nazionali e locali del partito, con il conseguente rischio che possano venire alla luce, sebbene per nobili motivazioni, gli altarini del PD, come avvenne al tempo dello scandalo della
Lega delle Cooperative o della scalata dell’Unipol.
In molti vedono in Beppe Grillo, se la candidatura dovesse portarlo alla segreteria del PD come la “Scatola Cinese” dell’I
talia dei Valori di Antonio di Pietro, dove si pensa che questi possa essere il Deus ex Macchina, che oggi dal suo blog “benedice l’iniziativa.

Ora resterà da vedere cosa accadrà nei prossimi giorni, in quanto l’operazione Grillo sta monopolizzando l’attenzione dei media e della politica italiana, che non vedono di buon occhio questo fustigatore dei costumi che –
Fonte Wilkipedia“Nel 1988 la Corte suprema di cassazione lo condannò definitivamente per omicidio colposo a un anno e tre mesi di carcere, poiché giudicato responsabile della morte di due adulti e del loro bambino di 8 anni a seguito di un incidente d'auto avvenuto il 7 dicembre 1981, nel quale lui era alla guida. Morirono tutti i passeggeri tranne lui. Oggetto di critica è stato il fatto che egli stesso, condannato in via definitiva per omicidio colposo volesse che fossero esclusi dal Parlamento italiano i condannati in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale” .

Nei fatti allora una virata di 360 gradi rispetto a quanto sempre dichiarato, sebbene la guida del PD non sia una candidatura politica, nei fatti andrebbe ad indirizzare l’orientamento politico dei parlamentari eletti alla Camera dei deputati e dei Senatori del Parlamento italiano.

Marco Bazzato
13.07.2009
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sabato 11 luglio 2009

G8: Venti Miliardi di dollari contro la fame


Eccoli qua i morti di fame, i cosiddetti 8 grandi, micragnosi che come locuste, ospitati a turno, vanno in giro per il mondo per tre giorni, rompendo le balle agli autoctoni per l’organizzazione della loro sagra personale, il circo delle spese folli, che come zingari predatori lanciano monetine di pochi centesimi di dollaro ai Paesi poveri dell’Africa, venendo per questo assurdamente osannati dai media, come i Messia combattenti la fame nel mondo, ma che poi in privato si battono per il mantenimento dei dazi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, che avendo dei costi di produzioni più bassi, possono produrre a costi minori e quindi accusato di concorrenza sleale.

Eppure cantano vittoria, in quanto affermano, in primis fra tutti il mezzo africano Barak Obama, che i paesi ricchi sganceranno, in tre anni, 20 miliardi di dollari. Praticamente una miseria. Una miseria confrontata allo stanziamento di 700 miliardi per salvare le banche detentrici di bond tossici, o i
4200 miliardi di dollari per le spese della difesa, esercizio fiscale americano 2009.

Gli 8 accattoni, con le mani bucate quando si tratta di sperperare denaro pubblico per salvare banche decotte o industrie destinate al fallimento, ma quando si tratta di scucire denaro per i Paesi poveri, si frugano alla ricerca degli avanzi, delle briciole, della carne avariata che nemmeno darebbero ai propri cani, salvo poi pavoneggiarsi pubblicamente per i risultati raggiunti (a parole).

Questo G8 è stato una catastrofe sia sotto l’aspetto finanziario per i costi sostenuti dal nostro Paese, sia sotto l’aspetto dei risultati reali raggiunti: Zero. Non va dimenticato che il G8 è un incontro informale, che ha lo stesso valore delle chiacchere al bar, con i commensali che si sbronzano, come accaduto al presidente russo
Dimitri Medvedev – notizia non riportata dai grandi media nazionali, che può essere trovata leggendo sia i blog italiani, sia i siti bulgari e russi – che in preda alla scimmia alcolica era sostenuto da Berlusconi, che forse stava imprecando mentalmente come un muratore bergamasco, e da Sarkozy, che al G8 del 2007 diede il meglio di se presentandosi alla conferenza stampa ubriaco marcio.

Sì, perché oltre alle belle parole di facciata, necessarie quando si mangia e beve a sbafo, per rispettare il bon ton non si può sputare sul piatto ove rimangia, visto che eventuali commenti sull’ospitalità, cibo, organizzazione o quant’altro si fanno in privato, tra i membri del medesimo Paese, in pubblico bisogna mantenere la faccia di bronzo, il sorriso a sessantaquattro denti e la gioia stampata sul volto, buone per le telecamere.

Non va dimenticato che questi 8 grandi, di qui tutti si sono sperticati in lodi e imbrodi, oltre alle dichiarazioni d’impegno e ai vari protocolli, essendo un summit informale, ha solo valore consultivo e indicativo, non legislativo, in quanto ogni eventuale decisione deve poi essere ratificata dai vari parlamenti nazionali per diventare leggi dei rispettivi Paesi, divenendo così applicabili all’atto pratico. E l’Italia si è già beccata una tirata d’orecchie in quanto in passato aveva promesso di spendere lo 0,5% del P.I.L per l’Africa, ma quelle promesse sono rimaste sulla carta, con la scusa della recessione globale, sebbene il premier si ostini a dire che questa è solo il frutto delle visioni catastrofiste della sinistra. Chi mente?

In troppi hanno applaudito a G8 concluso, eppure solo tre mesi prima il governo italiano aveva invitato a non recarsi nelle zone terremotate per non aumentare “il turismo del dolore” salvo poi rimangiarsi tutto, bloccando il centro dell’Aquila per una compassata di pochi minuti sulle rovine della città, da parte degli “Augusti” ospiti.

Ma una grande delusione arriva, oltre che dai cosiddetti Grandi del G8, dagli antagonisti, dai centri sociali e soprattutto dai
Black bloc, che per codardia, perché come affermano alcuni hanno ricevuto ordini dai servizi segreti di non intrufolarsi questa volta, che non hanno messo a ferro e fuoco, come accadde a Genova nel 2001, la città. Anche se va ricordato che i maggiori danni de L’Aquila non sono stati causati dal sisma ma dalla qualità scandente dei materiali usati, vedi l’ospedale, la casa dello studente e la prefettura. Chissà se questo è stato detto agli 8 Grandi? Sicuramente i giapponesi e americani, che non sono gli ultimi idioti arrivati, in quanto Giappone e California sono a fortissimo rischio sismico, è bastato un colpo d’occhio, e avranno sicuramente avuto notizia di quanto scritto e detto dai media italiani, per capire la situazione, che sarà stata, a ragione, motivo di forti critiche, proferite alle spalle del premier, dell’imperizia e della ladroneria costruttiva italiana.

Per fortuna il
Circo Barum si è concluso, compresa la tregua richiesta dal Capo dello Stato per evitare lo sputtanamento internazionale dell’Italia almeno prima e durante il vertice c’è stata l’assurda sospensione delle ostilità politiche, che abitualmente tra i paesi in conflitto non si arrestano, a differenza di quanto avveniva in passato, nell’antichità, quando le guerre erano più civili, queste venivano sospese durante lo svolgimento delle Olimpiadi. Si auspica naturalmente che si torni quella guerra di insulti politici mediatici reciproci, di scandali, di puttane, tangenti e droghe, visto che questo G8 a base di barbiturici e narcotici mediatici, colmo di buonismo peloso ed intenti che evaporano e svaniscono come la neve al sole aveva francamente stancato.

Ora che Obama è tornato a casa, in Africa. Sicuramente ringrazierà il padre che l’ha abbandonato all’età di quatto anni, facendolo prima nascere svernare per anni alle Hawaii, in quanto gli ha permesso di vivere da americano non africano.
Come disse un soldato di colore in un romanzo di Tom Clamcy, mentre era in missione in Africa:“Ringrazio gli americani per aver reso schiavi i miei avi, altrimenti sarei nato in questo Paese di merda!”

Marco Bazzato
11.07.2009
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venerdì 10 luglio 2009

Carla Bruni tra le rovine dell'Aquila


Alla fine, la sosia più giovane Cecilia Sarkozy, Carla Bruni è arrivata. Finalmente diranno alcuni. E chi se ne frega dirà la maggioranza. Che torni in Francia, bestemmieranno gli aquilani, che della visita della rifugiata politica in terra di Francia ne avrebbero fatto volentieri a meno.

Eppure, a modo suo, questa figlia del tradimento – ricordiamo che Carla è nata dalla
relazione adulterina della madre e il suo concepimento è stato non solo un atto fisico, ma anche un atto moralmente peccaminoso, e alcuni dicono che il peccato passi di generazione in generazione – che pur di far parlare di se non ha esitato, con la scusa del buonismo, sebbene la sua famiglia fosse fuggita in Francia, per paura delle Brigate Rosse, a perorare presso il marito la causa di una terrorista per motivi umanitari.

Questa strimpellatrice da quattro soldi,i suoi dischi sono tanto pubblicizzati quanto invenduti, evidentemente aveva paura del confronto con Michaelle Obama che sebbene non sia stata una top model, in quanto a fascino e a sharme Carla Bruni ha solo da imparare. E questo sicuramente perché a differenza della passeggiatrice, sulle passerelle di mezzo mondo, l’avvocatessa Michelle in quanto ed eleganza ne ha da vendere e Carla dovrebbe acquistarne almeno un po’.

La terza moglie del presidente francese, alcuni maligni pensano ad un principio di razzismo strisciante, non ha voluto o confrontarsi con la prima afro americana first lady degli Stati Uniti, timorosa che questa le potesse strappare il palco, cosa che effettivamente sarebbe avvenuta se la moglie di Obama e la terza moglie di Sarkozy fossero venute a contatto.

D’altronde nemmeno il giornalista o il fotografo più gossipparo si sarebbe perso dietro all’italiana apostata, convertitasi al francesismo più radicale, quando poteva seguire un’esotica afro americana a spasso per Roma e L’Aquila. Ed infatti anche l’accoglienza ricevuta quando è andata in visita alle zone terremotate era più simile a quella mesta di un funerale, che non alla visita di, come viene definita, una “premier dame”.

Insomma Carla Bruni non ha avuto la forza di reggere la concorrenza di una donna con meno anni di lei di copertine alle spalle, ma con molta più sostanza al suo attivo, sia per quanto concerne l’aspetto professionale sia sotto il profilo familiare, che certo hanno messo “l’italiana” in palesi condizioni di svantaggio, sia sotto l’aspetto d’immagine sia sotto il profilo sostanziale.

C’è da notare confrontando gli sguardi delle due donne, che quello di Michelle Obama è vivo, intelligente e pieno di vitalità, mentre quello della “francese”, anche se ai francesi non piace in quanto “italiana” appare vuoto e spento, un po’ come un vecchio motore a carburatori, prodotto a Torino il 23 dicembre del 1967, ingolfato, desueto, superato di modello e d’accessori. Insomma un vecchio rottame da demolire.

Per fortuna l’ex passeggiatrice, che ha calcato le passerelle del mondo, ora è francese, visto che ha fatto una gran brutta figura di m…

Marco Bazzato
10.07.2009
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giovedì 9 luglio 2009

La Cina usa la pena di morte per riprendersi lo Xinjiang



Davvero strana questa rivolta nello Xinjiang. Di punto in bianco col premier Hu Jintao in procinto di partire per l’Italia, portandosi appresso un codazzo di 300 imprenditori,che hanno portato alla stipula di accordi per più di un miliardo di euro, ed un leggerissimo accento al rispetto dei diritti umani, durante l’incontro con il presidente della repubblica italiana, Giorgio Napolitano.

Cosa può esserci sotto?

La rivolta, stando alle informazioni assenti della stampa italiana, sembrerebbe secondo le fonti ufficiali aver causato circa 140 morti, mentre secondo altri, circa 400, ma le cifre, come ha detto il Tg1 delle 20.00 del 08.07.2009, non sono importanti!

A chi fa comodo l’assenza della Cina al G8 in corso a l’Aquila? Agli americani soprattutto, indebitati con i cinesi, detentori di miliardi di dollari di buoni del tesoro statunitensi, che se assieme alla Russia, secondo possessore al mondo, decidessero di piazzarli sul mercato internazionale, manderebbe letteralmente a K.O il dollaro, facendo crollare ancor di più, se mai ce ne fosse bisogno, l’economia mondiale. Tant’è che i cinesi si sono comprati l’Hammer e i russi sembrerebbero in trattativa per l’Opel.. Attività produttive in cambio di carta straccia, pessimo affare per gli americani, che nazionalizzando in parte scaricano i costi sui cittadini, ottimo per cinesi e russi. Per questo i media tacciono sul bagno di sangue, e nessuno va a protestare, a differenza di quanto è avvenuto con l’Iran, davanti all’ambasciata, nessuno grida al mancato rispetto dei diritti umani e soprattutto nessun paese occidentale, in primis gli Stati Uniti, tramite il Dipartimento di Stato, Foggy Bottom, rilasciano nessuna nota, tantomeno nessuna condanna per l’annuncio di condanne a morte contro i fomentatori e i partecipanti alle rivolte. Silenzio su tutti i fronti. Il centro destra, con Berlusconi, anticomunista a corrente alternata, pronto ad insultare operai disoccupati che protestare. Tace. Frattini , ministro degli esteri, idem. I pacifisti, gli universitari dei centri sociali, tutti morti. Manco uno straccio di fiaccolata, manco un rigo sui giornali o sui siti internet, silenzio assoluto. Ci sono in ballo più di un miliardo di buone ragioni, più il nuovo stabilimento Fiat in Cina.

Allora mano libera alla repressione, tramite silenzio/assenso.

E come ai tempi di Mao, non disturbiamo il grande timoniere. D’altronde l’Italia tiene nel Paese gli immigrati clandestini cinesi, come merce di scambio, visto che vendono paccottiglie ai ceti meno abbienti, senza contare la grande distribuzione che sempre di più acquista in Cina.,per entrare nel mercato del lusso del Paese di Mezzo, che conta circa 10 milioni di nuovi ricchi e 150 mila super ricchi.

D’altronde, ad essere cinici, cinismo identico a quello del silenzio dei media, anche se avessero ammazzato 140, 2000, 1000 o 10.000 persone, questi appartengono ad una provincia povera, ma ricca di petrolio, non certo alle grandi città dove i ricchi pullulano, ma in una provincia dove i grandi brand sono assenti, anche se spaccano qualche vetrina, non è di un grande brand occidentale, e poi i cinesi, non importa di che etnia o religione, continuano nonostante le politiche di pianificazione familiare a riprodursi in modo vertiginoso. Queste morti potrebbero essere lette, visto il silenzio assordante internazionale, come un piccolo contributo, una piccola goccia nel mare, visto che non si riesce a fare di più, alla causa del calo demografico del calo planetario. In Africa lentamente, ancora tropo lentamente, ci si sta riuscendo, ora lasciamo fare alla Cina, che nella sua storia ha già esperienza di
pratiche mauthalsiane.

Il pungo di ferro, cinese lo sta dimostrando tutto, mettendo dei fermi paletti alla riduzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera. D’altronde, secondo il principio dell’equilibrio, la Cina non sono nemmeno vent’anni che si inquina a più non posso, spesso proprio grazie alle tecnologie occidentali desuete e fuori normative, che venivano e vengono vendute tutt’ora a prezzi di rottamazione, pur di non sostenere i pesanti costi di smaltimento.

Speriamo che non recedano di un passo, cosa che potrebbero fare solo in cambio di rassicurazioni globali di totale silenzio, se la situazione non dovesse stabilizzarsi nella provincia – grande 5 volte l’Italia – dello Xinjiang, in quanto affari interni. Esattamente come da anni avviene in Georgia, dove nessun giornale occidentale, per non far infuriare i russi, si azzarda a fare qualche servizio.

In compenso il G8 si appresta a condannare l’Iran per la repressione delle rivolte scoppiate dopo la riconferma di Ahmadinejad, perché questi ha sostenuto tesi negazioniste sull’olocausto, e perché vuole dotarsi di armi nucleari. Ricordiamo che
la Cina nel 2006 aveva 145 testate attive su un totale di 200. Senza contare che ufficialmente Israele non possiede 200 testate nucleari.

Marco Bazzato
09.07.2009
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mercoledì 8 luglio 2009

Canzone razzista, Matteo Salvini si dimette



“Senti che puzza scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani. Son colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”.

Siamo alle solite, basta un’innocua canzonetta, da stadio, quattro strofe in croce malcantante, che subito si scatena un terremoto politico, degno della Santa Inquisizione Spagnola.

A farne le spese è Matteo Salvini, deputato della Lega Nord,dimessosi in quanto eletto al parlamento europeo.

Ma il suo canto è stato un canto razzista, o un semplice luogo comune diffuso tanto al nord, quando si parla del sud, come del sud stesso, quando scherza sui propri difetti, come del sud quando parla del nord?

Partiamo da un fatto storico. Il ritornello è vecchio di almeno vent’anni. Già tra i giovani veneti, verso la fine degli anni ’80 questa filastrocca cantata girava non solo negli stadi, ma anche nelle serate tra amici, quando ci si ritrovava in pizzeria e tra una birra e un'altra, si dava sfoggio alla creatività, intavolando a fine della cena, una specie di Festival della scurrilità, che vedeva contrapposto il nord ed il sud. Ed il bello era proprio il gemellaggio fatto di filastrocche di questo tipo, come una specie di gara degli stonati, che ne nasceva quando nord e sud si scontravano sul fronte di questo tipo di creatività fatta di sfottò reciproci che sono il sale stesso della democrazia.

Non possiamo dimenticare che anche la cinematografia si ciba di luoghi comuni. Basti pensare come per anni sono state raffigurate le donne venete nel cinema, o come prostitute o come cameriere malscolarizzate.

L’Italia, più d’altri Paesi soffre di un campanilismo storico-culturale che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che continua a vivere, grazie alla trasmissione orale che passa di padre in figlio o da nonni a nipoti. D’altronde basta leggersi qualsiasi manuale di lingua e cultura italiana per stranieri, livello C2, per trovare, senza entrare nei dettagli, il campanilismo. Campanilismo espresso anche da Matteo Salvini, secondo una tradizione che né il benessere né il politicamente corretto potrà estirpare facilmente dalla cultura popolare, anzi, con la crescita della società multi culturale queste filastrocche diventeranno multietniche, e non solo limitate alla secolare “questione meridionale” tra nord e sud, iniziata proprio con l’unità d’Italia.

Per fare un esempio, basta vedere Giovanni Cacioppo, quando parla dei siciliani, per rendersi conto come l’Italia, scherza attraverso i regionalismi con i luoghi comuni, con i difetti tipici regionali. Il bergamasco muratore di Enrico Bertolino,dove lui, parlando in un dialetto bergamasco, sembra essere l’unico lavoratore, mentre tutti gli altri barboni e fannulloni, o i personaggi gigioneschi di Alberto Sordi o di Vittorio Gasman.

In molti potranno obbiettare, sì, ma Matteo Salvini è un parlamentare. Vero, ma Matteo Salvini è un italiano che rientra nello schema tipico dell’italiano del Nord, fatto anche di luoghi comuni, come ad esempio il presunto odio atavico del Nord contro il Sud. Non dobbiamo dimenticare che spesso gli abitanti dell’Italia meridionale, nel corso dei decenni sono sempre stati visti anche loro sotto l’ottica di un luogo comune negativo. È questa non è una costante solo italiana, ma internazionale, tipica dell’Europa continentale. Infatti, basti pensare alla Germania. Per i tedeschi della Germina del Nord , quelli del Sud sono considerati dei fannulloni, come dopo la caduta del Muro di Berlino, si diceva che gli abitanti dell’ex Germania dell’Est, essendo secondo la propaganda occidentale, abituati al socialismo reale, non volessero lavorare.

Il problema, o lo scandalo Salvini, non è tanto che pensi o che abbia cantato in modo stonato “Senti che puzza scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani. Son colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”, ma che in virtù del suo mandato parlamentare sia stato poco accorto da cantarla, facendosi riprendere. La gravità è che in un momento di giocosità privata, sacrosanta, espressa in un luogo pubblico, tra amici, sia inavvertitamente, in virtù del giusto diritto di cronaca, divenuta di dominio pubblico.
Ricordiamo le famose frasi, tra tifosi durante una partita di calcio, tra Napoli e Verona: Giulietta e na’zoccola, divenuto il titolo di un libro di Cristiano Militello, uno degli inviati di Striscia la Notizia. È anche vero che i veronesi in precedenza avevano scritto “Vesuvio facci sognare”.


Marco Bazzato
08.07.2009
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martedì 7 luglio 2009

Benedetto XVI, nuova enciclica Caritas in veritate



Un tormento di refusi!

La nuova enciclica di Bendetto XVI, l’introduzione, è illeggibile e dopo la seconda cartella l’abbiocco prende il sopravvento. Il che forse è dovuto alle ripetizioni perpetue di “carità e verità” “verità e carità” rimescolate all’interno di un testo zeppo come un otre di vino di un oste ubriaco – forse da vino santo – di citazioni fuori contesto, di parole dottrinali che sembrano estrapolate da uno dei catechismi della prima comunione della fine anni ’70 , che come un 33 giri rigato, saltano e si ripetono, senza soluzione di continuità, dove il filo logico è impersonato da una chimera impossibile da concretizzare, da un utopia irrealizzabile nel vivere quotidiano, specie pensando agli esempi vaticani, che fin dalla fondazione dello Stato Pontificio, fino a giorni d’oggi con lo Stato Città del Vaticano, di “verità e carità” ne ha vista assai poca.

Il testo, che sembra scritto da un cadetto, pardon da un novizio all’ultimo anno di seminario, con infarinature abbastanza scarse di teologia, appare come un guazzabuglio stantio di tutto e di nulla, che porta il lettore – anche il cattolico più fanatico – a pattinare sopra un esiguo filo di ghiaccio, dove l’estensore, pur di non veder incrinare le sue presunte sicurezze, cerca in tutti i modi di non fare né uscite fuori dal seminato teologico, né tantomeno s’azzarda, prima d’incamminarsi in un percorso ad ostacoli così sottile a fare il seppur minimo esame di coscienza degli errori teologici-storico-scientifici che la chiesa in 2000 anni di presunta verità e carità ha commesso, conscia di comemetterli.

Il passo seguente, da l’idea della circonvenzione delle parole, dell’utilizzo greve e vuoto del Logos che la Chiesa stessa dice di divulgare, conoscere e difendere:

La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e
non pretende « minimamente d’intromettersi nella politica
degli Stati ».Ha pero` una missione di verita` da
compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una societa`
a misura dell’uomo, della sua dignita`, della sua vocazione.


Se la Chiesa non ha soluzioni tecniche in mano da offrire, non può nemmeno pretendere di detenere una qualsiasi forma di verità, in quanto mancando delle conoscenze specifiche in determinate materie, le è impossibile, non solo indicare, ma peggio ancora avere un presunto indirizzo di verità, il che come già troppo spesso avvenuto in passato, la porterebbe non solo verso l’errore teologico, ma anche storico e scientifico. Galileo e Giordano Bruno ne sono gli esempi più altisonanti dell’ignoranza di una chiesa che non ha mai avuto in mano alcun tipo di verità, ma che l’ha spesso imposta con la forza.

«E` per questo che « i popoli della
fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli
dell’opulenza ».


Strane risposte da allora il Vaticano, quando per lucrare sulla credulità dei fedeli, fa mettere il cadavere decomposto di un uomo dentro una cripta d’oro massiccio, come se la Chiesa fosse tornata all’idolatria pagana di stampo egizio.

Paolo VI aveva una visione articolata dello sviluppo.
Con il termine « sviluppo » voleva indicare l’obiettivo
di far uscire i popoli anzitutto dalla fame, dalla miseria,
dalle malattie endemiche e dall’analfabetismo.

Non sembra almeno da quanto si evince da varie pubblicazioni e siti internet, che Paolo VI avesse una visione chiara ed articolata dello sviluppo, inteso come obiettivo per far uscire i popoli dalla fame, dall’analfabetismo e dalla miseria, in quanto era più interessato allo IOR, la banca Vaticane a fare affari con Calvi e Sindona. Il papa Benedetto XVI, se almeno non vuole leggersi la storia del Vaticano, si legga gli atti giudiziari che hanno coinvolto “monsignor” Marcincus e molti altri, chiedo, oggi che può lumi sui correntisti della
Banca Vaticana e che somme e di che provenienza sono,i denari depositati dai 40 mila clienti selezionati e top secret.

Il profitto e` utile se, in quanto mezzo, e`
orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul
come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo
obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene
comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza
e creare poverta`.

Discorso balzano da parte di un’organizzazione straniera, che in base al concordato, si prefigge il fine ultimo dell’utile, tramite l’esenzione al pagamento dell’Ici per i luoghi di culto e altro, le sovvenzioni, mascherate come aiuto alle famiglie, alle scuole provate gestite dai religiosi e quant’altro riescano ad inventare. Ne è prova il fatto che anche al radio Vaticana accetti la pubblicità, oppure i 20 milioni di euro spesi nel 2008 per convincere gli italiani, per fortuna sempre mento interessati ad arricchire un Stato straniero, a firmare per l’8 per mille alla Chiesa Cattolica, dove l’80% del ricavato se ne va per il sostentamento del clero ed il 20% per attività caritatevoli.
Il testo dell’enciclica appare come il testo di un analista economico, che denuncia, a ragione o a torto, dipende dai punti di vista i malesseri del capitalismo contemporaneo, dimenticando che la Chiesa stessa è un enorme impero economico- finanziario, dove, però l’estensore, bravissimo a far le pulci in casa d’altri, omette di guardare e descrivere i problemi e gli scandali in casa propria, come ha fatto Gianluigi Nuzzi, autore di
Vaticano S.p.A., Chiare Lettere Editore, di cui cito un estratto, tratto dal sito della Feltrinelli:

Spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza. La storia raccontata in questo libro parte da un archivio custodito in Svizzera e da oggi accessibile a tutti. Circa quattromila documenti riservati della Santa Sede. Lettere, relazioni, bilanci, verbali, bonifici. Tutto grazie all'archivio di monsignor Renato Dardozzi (1922-2003), tra le figure più importanti nella gestione dello Ior fino alla fine degli anni Novanta. Sembrava una storia conclusa con gli scandali degli anni Ottanta: Marcinkus, Sindona e Calvi. Invece tutto ritorna. Dopo la fuoriuscita di Marcinkus dalla Banca del Papa, parte un nuovo e sofisticatissimo sistema di conti cifrati nei quali transitano centinaia di miliardi di lire. L'artefice è monsignor Donato de Bonis. Conti intestati a banchieri, imprenditori, immobiliaristi, politici tuttora di primo piano, compreso Omissis, nome in codice che sta per Giulio Andreotti. Titoli di Stato scambiati per riciclare denaro sporco. I soldi di Tangentopoli (la maxitangente Enimont) sono passati dalla Banca vaticana, ma anche il denaro lasciato dai fedeli per le messe è stato trasferito in conti personali. Lo Ior ha funzionato come una banca nella banca. Una vera e propria "lavanderia" nel centro di Roma, utilizzata anche dalla mafia e per spregiudicate avventure politiche. Un paradiso fiscale che non risponde ad alcuna legislazione diversa da quella dello Stato Vaticano. Tutto in nome di dio.

In termini generali, lo scritto di Benedetto XVI, se è uno scritto suo, in quanto li sono riconosciute capacità teologiche, non da analista economico-finanziario, appare più come un lavoro di copia e incolla, una semplice ricerca bibliografica di citazioni e frasi altrui, estrapolate ad effetto, e rimaneggiate, come in uso in Vaticano, quando si cerca la verità relativa, di solito sotto i cavoli, depauperata dagli interessi privati o dello Stato indipendente più piccolo, ma più economicamente ricco, sulle spalle della convenzioni e dei concordati internazionali, che alla fine va a toccare, come nel caso della religione e della negromanzia, la credulità popolare, con lo scopo ultimo, come per ogni attività commerciale che si rispetti, della creazione di utile e del potere economico e politico, totalmente disgiunto e distante dalla povertà di Gesù e diverso dalla Chiesa Dio avrebbe voluto per l’uomo sulla Terra.
Per l’ennesima volta, come fu all’inizio, il povero Cristo, l’ultimo degli ultimi, ha trovato il suo Giuda Iscariota, che continua a cercare i suoi 30 denari.

lunedì 6 luglio 2009

Giovanardi: sanatorie per colf e badanti


E te pareva!
In Italia esistono immigrati clandestini di serie A e di serie inferiori. Quelli della serie maggiore, sono guarda caso, colf e badanti, che lavorano in nero e che per non mettere in difficoltà i poveri sfruttatori, che abitualmente non sono morti di fame, ma benestanti, liberi professionisti, non certo operai o ceto medio, si vorrebbe legalizzare, senza naturalmente sanzionare i datori di lavoro, forse perché in molti sono amici di amici, di amici, di amici,di politici, quando proprio non sono politici, visto che i parlamentari, col lavoro irregolare, vedi i portaborse, ci vanno a braccetto.

Sarebbero circa 500 mila tra colf, badanti e babysitter clandestine, che se l’Italia avesse veramente “le palle” dovrebbe espellere senza tanti complimenti, liberando così quasi mezzo milione di posti di lavoro per gli italiani, ed applicando nei confronti dei datori di lavoro le pesanti sanzioni pecuniarie
approvate dall’Unione Europea, proprio per contrastare il fenomeno.

Ora i partiti politici tremano, non tanto per i cittadini extracomunitari che potrebbero essere rispediti seduta stante fuori dai confini europei, senza tanti complimenti, ma per il timore della rivolta dei ricchi, per paura della rivolta di coloro che detengono in casa, in nero, collaboratori familiari , per risparmiare sui contributi. Nessun quotidiano, troppo impegnato a proteggere le clandestine, ha fatto i conti dell’evasione contributiva che i datori di lavoro hanno sottratto alle casse dello Stato in questi anni. La politica, facendo leva sul pietismo becero, sta usando colf, badanti e babysitter clandestine come scudi umani, affinché i disattenti non aprano gli occhi, su chi sono i veri responsabili di queste situazioni di irregolarità penale e fiscale diffuse come una pandemia nazionale.

Si mente anche quando si afferma che in questi casi si colpirebbero i soggetti più deboli, colf e badanti, in quanto appare chiaro che i veri soggetti deboli, che stanno facendo pressioni su ogni galoppino a contatto con i politici, sono i datori di lavoro, gli sfruttatori di manodopera clandestina, e che al pari degli sfruttatori degli stagionali – spesso raccoglitori di pomodori e/o frutta – andrebbero scovati e puniti, amministrativamente e penalmente, senza pietà, in quanto LADRI, CHE DERUBANO LO STATO E I CITTAIDNI, TRAMITE L’EVASIONE CONTRIBUTIVA.

A questo punto per rompere le uova nel paniere di un governo nazionale, sempre più n crisi sotto il profilo internazionale, sarebbe bello che le colf e le badanti clandestine, si riunissero in comitati, denunciando, visto che devono essere espulse dall’Italia, i datori di lavoro, specie se assunte senza contratto e senza la regolare documentazione. Tanto, a quel punto, se devono andare a fondo, ritornando in patria, che trascinino nel fango e nel pubblico ludibrio gli SFRUTTATORI DEL LAVORO NEROI DEI DATORI DI LAVORO.

Ora scende in campo anche la CEI, Conferenza Episcopale Italiana, forse anche molti sacerdoti hanno badanti o perpetue extracomunitarie che pagano in nero e hanno paura d’essere accusati di sfruttare la manodopera clandestina?

Nessun politico, come nessun quotidiano, ha posto l’accento sul fatto che rimandando a casa loro mezzo milione di clandestine, si libererebbero subito quei posti di lavoro per gli italiani, che probabilmente non avrebbero problemi a chiedere il pagamento dei contributi, sapendo di non essere in condizione d’inferiorità contrattuale, oppure, visto che nessuno ne parla, datori di lavoro e dipendenti potrebbero perdurare nel pagamento in nero, ma ameno in questi casi, il denaro ricevuto verrebbe speso in Italia, facendo almeno in parte ripartire i consumi, come auspicato dal presidente del consiglio, e non inviato all’estero, tolte le spese vive in Italia, per aiutare i famigliari delle clandestine rimasti in patria.

Marco Bazzato
06.07.2009
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